24 dicembre 2013

Xmas



Ho cucinato delle polpettine molto buone. Ceci, speck e zucchine. (se qualcuno dovesse rifarle sappia che ci vuole anche un uovo che tenga insieme l'impasto o si spappolano. Sì, in cucina sono alle prime armi, da sempre).

Ho voglia di vivermi l'allegria di mio figlio domani all'alba (so che ci tirerà giù dal letto a quell'ora). Perchè sì il consumismo natalizio è troppo e ridicolo, ma io quell' eccitazione da è arrivato Babbo Natale me la ricordo. Ed era bellissimo. Valeva la pena fare quasi sempre i bravi.

Quest'anno sono andata a correre una volta. Era uno dei buoni propositi per il 2013. Andare a correre.
Ho avuto male alle gambe per una settimana.

20 dicembre 2013

diciamolo.



Ieri sera ho visto per la prima volta una puntata di Mamma Imperfetta.
Simpatico.
Tanto non è proprio così nella realtà. No?!
Ma non sono qui per parlare di questo.
Vorrei solo dire una cosa.
Perchè si parla tanto di mamme imperfette e alla soglia dei cinque anni di mio figlio ho accettato di esserlo, ma anche i figli non sono proprio perfetti, diciamocelo. Anche se fanno la recita più bella del mondo. Sono incredibili, ma la perfezione è un'altra cosa. E comunque l'essere perfetti ha qualcosa di inquietante.

19 dicembre 2013

uacciu uari uari ua



Posso rimangiarmi tutto?
Tutto di quello che scrivevo qui lo scorso anno?
Grazie.
No, perchè in linea generale posso ancora essere d'accordo ma in pratica sono stata alla recita di Natale più bella del mondo.


13 dicembre 2013

faccio un bilancio? No, meglio un riassunto

E così questo duemilacredici sta finendo.
Posso dire EVVIVA?!
E' stato intenso. Tosto. E non proprio simpatico.



11 dicembre 2013

cose che accadono quando sei alle prese con scatoloni&trasloco e trovi una foto.


C'era una volta una ragazza.
Aveva un fidanzato. Da un pò. Un ragazzo dal cuore d'oro. Una persona buona.
La ragazza provava un senso di tranquillità con lui, lui la adorava e tutto era molto semplice.
Nessuno stravolgimento, Nessuna grande emozione. Nessun dispiacere. Molta calma piatta.
La ragazza era però sempre in cerca di qualcosa. Del resto aveva vent'anni.
Per la verità ancora oggi è sempre alla ricerca di qualcosa, ma è un altro qualcosa. Che forse quando riuscirà a trovare verrà sostituito da un nuovo qualcosa. E così via.
(La ragazza questo non se lo ricorda mai. ndr). 
La ragazza non era davvero innamorata di lui, gli voleva un gran bene. Così tanto bene che le impediva di spezzargli il cuore.

6 dicembre 2013

L'arte a Londra è gratis. Giusto.


Non sono un’intenditrice. Per niente. Non so disegnare, non ho studiato storia dell’arte, non avevo mai preso in mano un pennello prima di diventare mamma.
Però adoro, letteralmente, i musei. E quello che contengono.

4 dicembre 2013

Oggi ho il diritto di essere triste.


Ci viene chiesto di non essere mai tristi.
Non puoi lavorare se sei triste. In realtà non puoi non lavorare quindi non puoi essere triste. Sorridi.
Non puoi essere una mamma triste. Lui non lo merita.
Non puoi essere una compagna triste. Lui diventa triste di fronte alla tua tristezza. E tu lo ami.
Non puoi essere triste perchè hai un sacco di belle cose intorno ed è come se le sminuissi.
Non puoi essere triste perchè sei comunque una persona fortunata.

29 novembre 2013

mi sono rotta le palle e mi vergogno pure.

Mi sono davvero rotta le palle.
Mi sono rotta le palle e non mi appassiono proprio più.
E sapere che non mi appassiono più mi fa proprio girare le palle.
Mi è sempre piaciuto discuterne, specie se animatamente, mi è sempre piaciuto leggere tra le righe e informarmi di più, mi è sempre piaciuto credere un minimo in qualcosa o come negli ultimi anni essere molto contro qualcosa.

20 novembre 2013

limpido

Ultimamente,
sono più innamorata che mai.
Perchè il dolore può fare dei regali.
Perchè l'amore non è sempre uguale, lo sappiamo.
Perchè c'è. E sappiamo quanto è facile non accorgersene.











Ultimamente

18 novembre 2013

i miei tre trend




Partiamo dal mio primo nuovo trend per eccellenza.
Le scarpe stringate, per la precisione queste che mi ha regalato lui. (Thank you yoox.com)
Si mettono con tutto ma jeans e gonne corte sono come piace a me.




Il trend numero due?

15 novembre 2013

Raccontatemi Londra

Per il mio compleanno quest'anno saremo solo io e lui. Per quattro giorni.
Una cosa da grandi, da adulti, da coppia.
Sono una forte sostenitrice del fare figli.
Sono una forte sostenitrice del rimanere una coppia quando si hanno i figli.
Che vuol dire vagabondare come capita, bere una birra in silenzio, guardare un quadro per bene.
Che vuol dire tenere la mano a lui, quello grande, in esclusiva, per quattro giorni.

Ce lo meritiamo.
Sia io che lui.

13 novembre 2013

la mia mela


Io al Paradiso non ci credo. Mi piacerebbe, ma sono nata atea e un pò anarchica, e ci sono rimasta.
Ho alcune idee anche su Dio e vorrei a volte crederci, semplicemente per rifugiarmici. Altre volte per chiedergli qualche risposta, altre volte ancora per mandarlo a quel paese.
Ma niente. Con me non funziona.
Non mi è stato insegnato, non l'ho cercato.
Ma qui apriamo un portone enorme e oggi non è il caso, ho dieci minuti a disposizione e voglio fare questa cosa.

8 novembre 2013

perle di futura saggezza



Siamo in macchina.
Lui è seduto dietro con lei, la sua lei, la sua grande amica.
Stiamo andando a vedere un cucciolo di labrador appena nato, sono emozionatissimi.

7 novembre 2013

sono solo foto



Il bello dei week end lunghi è che puoi prendere e partire.
Il brutto dei week end lunghi è che finiscono.
Sono un'anima in pena, sto meglio in giro che ferma, si sa.

30 ottobre 2013

A quindici anni, ma anche a venti



Sono stata al circo. Uno di quelli belli perchè piccolo e fatto solo di persone.

28 ottobre 2013

La pittura trasforma lo spazio in tempo, la musica il tempo inspazio.(cit.)

Sono una di quelle che ha la canzone del momento
Una che scopre o riscopre una canzone e l'ascolta ancora e ancora e ancora. Sono una che si perde dentro di lei tutte le volte che può, finchè quella canzone non ha fatto il suo tempo. Finchè il momento non è passato.
E' una cosa solo mia, che mi piace fare da sola, cantando in silenzio.
La canzone del momento non si sceglie. 

25 ottobre 2013

tre piccoli capolavori

Parliamo d'altro?
Parliamo d'altro.

Il mondo dell'editoria per l'infanzia è davvero variegato se si lascia da parte tutto ciò che è puramente commerciale (anche l'editoria deve mangiare, basta non fare indigestione) e Peppa Pig (che io comunque ringrazio sempre. Tra l'altro, se ve lo siete persi, fatevi due risate leggendo qui, io me le sono fatte di gusto!).
Dicevo, l'offerta è davvero ampia e ci sono alcune chicche meravigliose.
Quando si legge un buon libro per bambini c'è sempre molto per i genitori. Del resto i libri li scrivono i grandi. Quelli bravi sanno tornare bambini con l'esperienza del grande.
E siccome oggi è venerdì e da troppo tempo non partecipo all'iniziativa di homemademamma, per parlare d'altro che non sia come sto (sto, punto.), vi propongo i migliori libri per piccoli (e quindi per grandi) che amiamo leggere nell'ultimo periodo:

17 ottobre 2013

attraverso - all you need is love

Sono alla terza fase, a modo mio.
C'è stata la fase della negazione. La parte totalmente irrazionale di me ha sperato fino all'ultimo che si fossero sbagliati tutti, compreso il mio corpo.
C'è stata la fase della rabbia. Sono diventata nervosa per tutto, insofferente e sgarbata. E come dimostra la teoria ho passato parecchio tempo a dirmi "perchè proprio a me?". So di non  potermela prendere con nessuno, sarebbe semplicemente più facile.
Adesso sono nel pieno della terza fase. La fase della contrattazione.
Mi sto cercando di concentrare su mille cose, su un progetto nuovo o forse semplicemente su quell'idea vecchia rivisitata. Sto provando a immaginarmi a fare un lavoro che mi piace.
Sto mangiando peperoni rossi. Dicono che aiutino la fertilità. I peperoni non mi piacciono e non li digerisco. Ma sono arrivata al punto che provo tutto. Tutte quelle cose che mi continuano a far sperare.
Detta così sembra la fase migliore, peperoni a parte. E spero duri un pò più delle altre.
Andrò anche da uno psicologo. Comincio lunedì. Per poterne parlare con calma. Per poter buttare un pò fuori. Perchè ho timore e spesso poca voglia di farlo. Ma so che invece mi farebbe bene. Perchè ho paura che quello che mi è successo, in associazione al futuro prossimo, possa essere una specie di bomba ad orologeria.
Dovrebbero seguire la fase della depressione, che è quella che mi fa paura e la fase dell'accettazione.
Una cara amica, una di noi, una settimana fa mi ha scritto "so che l'unico modo per guarire da questo dolore, che solo noi donne conosciamo davvero, è che poi arrivi un altro cuore". Mi ha letto nel pensiero.

Non sono più stata sola.
Solo in quella sala operatoria. Al freddo. Con l'anestesista che mi ha chiesto di pensare a qualcosa di bello prima di addormentarmi. E io ho pensato a Pietro.
A volte mi sembra ancora tutto così incredibile. Così assurdo. Così crudele.
Devo passare attraverso tutto questo.
E ci devo passare nel mezzo anche un pò da sola. Nonostante non sia una cosa solo mia. Nonostante intorno a me io sia circondata. Circondata nel senso di abbracciata.
C' è Lui, che quando sbatte contro un muro riesce a rialzarsi a rimettere insieme i cocci, raggirando il muro. Lui sa guardare a domani e punta sempre li. E io vorrei tanto essere come lui. Avere la sua pellaccia che sa tenere protetto il suo cuore buono.
C'è Pietro. E non serve aggiungere altro.
C' è lei, che è stata lì, ha compilato le scartoffie per me, mi ha tenuta per mano, mi ha fatta ridere, mi ha ascoltata piangere senza bisogno di parlare. Lei che sa sempre insegnarmi cosa sia la vera amicizia.
C' è stata mia madre a modo suo, ma era lì.
Ci siete state voi. Questo mondo accogliente di cui mi sono circondata. Le vostre mail, i vostri messaggi, i vostri pensieri, i vostri abbracci.
Grazie.
Ho solo bisogno di essere tanto abbracciata.

8 ottobre 2013

quasi vuota

Avevo sconfitto la paura quasi subito.
Avevo deciso che mi sarei goduta tutto senza timore, a cuore aperto, al massimo e così ho fatto.
Avevo voglia di urlarlo al mondo e l'ho fatto.
Avevo voglia di ridere e ho riso.
E rifarei tutto proprio così. E' stato un mese e mezzo bellissimo.
Poi è arrivato il sangue.
Il pronto soccorso.
L'ecografia.
Il responso: non vitale.
Si è fermato lì, a quell' attimo prima di diventare bambino. Quel bambino per cui io mi sentivo già mamma. Quel bambino che tanto volevo e tanto ho aspettato.
Ha voluto lasciarmi ancora tre settimane di meraviglia. Facendomi sentire che c'era, quando in realtà non era così. Ha aspettato a farmi sapere come stavano le cose.
La chiamano selezione naturale.
Il raschiamento è programmato per giovedì.
Il vuoto vero sarà dopo domani.
E quando mi verrà in mente nei momenti più impensabili.
Quest'avventura farà parte di me per sempre. Di noi per sempre.

Va bene così.
Al senso di impotenza di fronte alla natura ci avevo fatto l'abitudine.
Me lo ero dimenticata per un mese e mezzo. E non c'era sensazione migliore.
#ceciliaduecuori non c'è più. Ne è rimasto uno. E anche parecchio acciaccato.


4 ottobre 2013

mamma mia dammi 100 lire

Quando ho iniziato l'università ero molto convinta di quello che avrei voluto fare da grande.
Poi ho cambiato idea. Ma questa è un'altra storia.
Mi ero iscritta a Psicologia, per la precisione Psicologia dello sviluppo. La mia tesi triennale è arrivata dopo un percorso intenso e molto interessante legato al mondo dell'immigrazione, intrapreso con il mio professore di antropologia culturale, e l'ho amata moltissimo.
Riguardava l'etnopsichiatria infantile, in particolare l'approccio di George Devereux e della sua allieva Marie Rose Moro.
Vorrei riuscire a farla breve: l'etnopischiatria da un punto di vista metodologico si fonda sul complementarismo, ovvero i fenomeni umani vengono considerati secondo una prospettiva sia psicoanalitica che secondo una prospettiva antropologica. Tra le due discipline solo la psicoanalisi è chiamata ad indurre i cambiamenti mentre l'antropologia permette la comprensione dei fattori collettivi, delle rappresentazioni sociali e culturali che strutturano l'identità umana e la sua organizzazione.
L'importanza di questo approccio, specie se rivolto a chi arriva da una cultura differente, a chi vive e ha vissuto il trauma della migrazione permette di cogliere aspetti diversi del medesimo oggetto. Per questo il gruppo di terapia comprende varie figure, antropologi, linguisti, psicologi così da permettere la comprensione dell'altro "situato".

Si intuiva già allora la mia diffidenza per il modo di guardare alle cose della psicologia pura. Diffidenza che mi ha portato a scegliere percorsi molto diversi e più concreti per proseguire i miei studi. Percorsi devo dire anche meno intensi e coinvolgenti da un punto di vista emotivo e personale. Più semplici. A fronte dell'ammissione che non tutti possono essere psicologi. Perchè è un lavoro importantissimo e da non sottovalutare. Va fatto bene. E si deve lavorare tanto su di sé per poter accogliere senza giudizio o preconcetti il dolore e le difficoltà dell'altro.
Ma questa come dicevo è un'altra storia.

L'immigrazione ed i suoi protagonisti sono sempre stati un argomento che ha catturato la mia attenzione, la mia curiosità e la mia solidarietà. Ho lavorato al loro fianco per un periodo e ne conservo ricordi bellissimi. La bellezza data dal coraggio di chi ha scelto di cambiare. Perchè non aveva altra scelta.
Credo nel bello del diverso. Vorrei una società il più multietnica possibile.
Ammiro la ricchezza e la complessità delle esperienze e dei vissuti che un emigrante porta con sè.
Ho vissuto un anno negli Stati Uniti e ho adorato avere amici di tutti i colori e di tutte le usanze. Ho imparato tanto. Ho mangiato spaghetti vietnamiti e vero curry indiano, ho ballato danze portoricane e messicane, ho provato varie acconciature afro e ho imparato un pò di dialetto siciliano da una nipote di migranti italiani.
Un pò mi sono sempre sentita migrante anch'io, per quanto molto ma molto fortunata, prima seguendo mio padre e il suo lavoro in giro per l'Italia e poi seguendo l'istinto camuffato sotto il "vado a studiare fuori casa". Non sentendomi mai davvero a casa del tutto, mai in nessun posto, perchè un pò avevo messo radici lì, ma un pò le volevo lasciate anche là.

Credo che il nostro paese abbia sbagliato completamente nelle politiche e nei toni e che dimostri in continuazione di non saper accogliere, perchè chiuso, bigotto, rude e arretrato. E sicuramente molto impreparato. E lasciato solo. Lampedusa è lasciata sola e io, qui dal mio calduccio comodo, posso solo dire grazie ai suoi abitanti.
Si deve fare qualcosa. Di diverso. Non ho la risposta, non so quale sia la strada migliore, non saprei da che parte cominciare. Ma so che prima si aprono le braccia e poi si troverà tutti insieme una soluzione.

Lo diceva Bauman: "Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possono essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l'emigrazione; possono contribuire o occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire."


I morti di oggi a Lampedusa (mentre scriviamo sono cento) vanno ad aggiungersi agli altri 20mila che sono morti nel Mediterraneo negli ultimi vent'anni. Fino a quando considereremo naturale che il mar Mediterraneo sia il più grande cimitero del mondo? Fino a quando accetteremo di tenerci politiche migratorie criminali, che trasformano i disperati in clandestini, e per questo delinquenti? Fino a quando lasceremo che chi scappa dalla guerra e dalla miseria abbia, come unica possibilità, quella di affidarsi a uno scafista che poi li butta in mare a frustate? Fino a quando accetteremo di essere corresponsabili di una strage quotidiana di donne, uomini, bambini la cui unica colpa è inseguire la speranza di una vita migliore? Fino a quando Lampedusa e gli altri porti di sbarco saranno lasciati soli a seppellire i morti, nell'indifferenza dell'Italia e dell'Europa? Non abbiamo più voglia, davanti a cento cadaveri, di ascoltare l'ipocrisia di chi oggi si veste a lutto mentre ieri firmava le leggi sull'immigrazione che riempiono il mare di morte, l'ipocrisia di chi oggi si dispera ma domani non farà niente per cambiarle. Vogliamo risposte. Vogliamo un Paese che, come dice la nostra Costituzione, "riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell'uomo": diritti che invece muoiono ogni giorno davanti ai nostri occhi, insieme a centinaia di persone.
Mi piace ·  ·  · 4 ore fa · 

3 ottobre 2013

"Siate sempre molto gentili con i vostri figli, perché saranno loro che un giorno sceglieranno la vostra casa di riposo." (cit.)

Allora, partiamo dal presupposto che l'obiettivo è comune. Entrambi vorremmo educare nostro figlio lasciandogli la libertà di esprimersi. Ma siamo fortunatamente persone differenti e con questo anche gli stili genitoriali sono abbastanza diversi.
Tutti sappiamo che di fronte al proprio figlio la coerenza di comportamento di padre e madre è d'obbligo. Se il figlio in questione riesce a cogliere le divergenze è finita. Non avrà la sicurezza che una regola condivisa sa offrire, non avrà la giusta comprensione del perchè e il messaggio non arriva.
A fronte di queste considerazioni che, indipendentemente dal fatto che siano presenti in tutti i migliori manuali, io condivido in toto, c'è la vita reale. C'è l'essere genitori ogni giorno.
Nonostante la giornata di cacca in ufficio; la mezz'ora nel traffico e i venti minuti, quando va bene, per trovare un parcheggio nei "paraggi" di casa. Nonostante la cena da preparare presto altrimenti il figlio che non dorme più a scuola sviene nel piatto ma allo stesso tempo la voglia di stare con questo figlio che giustamente vuole giocare a palla asino in salotto. Nonostante i pensieri preoccupati e un pò tendenti all'ansioso per il trasloco che ci aspetta tra pochi mesi. Nonostante gli ormoni che fanno fare al mio umore un giro sulle montagne russe parecchie volte in un solo giorno, la situazione politica che sa sempre più di presa per il culo e il pensiero a tutte quelle cose che rimandi sempre, perchè non trovi il tempo.
Bene, essere genitori sempre non è sempre semplice.
Specie se le tecniche applicate sono un pochino differenti. E soprattutto se ognuno è profondamente convinto che la propria strategia sia quella più giusta.

Io e lui siamo sicuramente in sintonia su tantissime cose. Condividiamo i principi, crediamo negli stessi valori, abbiamo la stessa idea di come vorremmo fare i genitori in poche parole. Ma abbiamo stili diversi.
Io sono quella che lascia sicuramente più correre. Perchè lo faccio? Per il quieto vivere, perchè ritengo che un bambino sia sempre e comunque un bambino e non un soldatino, perchè credo che arrabbiarsi per tutto quello che non va, senza differenziare tra le cose che non vanno davvero e quelle che sono meno importanti non sia la strada giusta per far comprendere cose è grave e cosa invece non lo è.
Preferisco poche regole chiare a troppe su ogni cosa. E quelle sono anche quelle che pretendo vengano rispettate. I denti si devono lavare? Non c'è capriccio che tenga e mamma si arrabbia sul serio se te lo deve dire dieci volte. Anzi alla terza mi sono già arrabbiata. Se invece a tavola non sei sempre composto e la pasta cade sul pavimento, te lo ricordo ma non mi arrabbio sul serio. Risultati? Lavare i denti è quasi sempre una tragedia, stare composti è una di quelle cose che ci si dimentica spesso.
Lui invece è del partito si fa come dico io punto. E si fa al primo colpo, non devo nemmeno chiederlo due volte. Alla seconda già scatta il rimprovero.
E' più rispettato di me? Credo sì.
E' amato? Direi venerato. Da noi il complesso di Edipo è ancora latitante.
Passa più tempo di me ad arrabbiarsi? Credo di sì.
Per cui ci si ritrova nella situazione in cui lui rimprovera, a mio avviso senza un vero motivo e con toni esagerati, e io sto in silenzio. Non rincaro la dose. Ma non do nemmeno contro. Taccio semplicemente.
Faccio una differenza. Tra quelle volte in cui anch'io intervengo nel spiegare perchè no o perchè sì quando si tratta di una cosa importante e quelle volte in cui non credo necessario il rimprovero.
E non intervengo perchè cerco di seguire il principio per cui di fronte al pargolo non devo mai correggere il padre, nè tanto meno riprenderlo.
Ovviamente non ci riesco mica sempre.
E quando succede tutti i sani principi vanno a farsi benedire e si finisce per discutere proprio davanti a colui che dovrebbe vederci sempre coerenti e alleati. Proprio il massimo. Soprattutto per i sensi di colpa postumi di una madre.
E quando ci riesco invece capita spesso che a lui dia fastidio. Perchè il mio stare zitta ai suoi occhi è un lasciarlo solo, senza il mio supporto, senza che io gli dia manforte. Ma vai a spiegargli, come ho già fatto mille volte, che non voglio intervenire, come non voglio che lo faccia lui quando è il mio turno di fare il genitore che rimprovera. Non voglio esserci anche io a rincarare la dose, soprattutto quando ritengo che si stia esagerando dimenticandosi che abbiamo di fronte un nemmeno cinquenne.

Ho la fortuna di avere accanto un uomo con cui riesco a parlare, ad arrabbiarmi, a scontrarmi e fare pace.
Mio figlio ha la fortuna di avere un padre che lo ama con tutto sé stesso e che sarà sempre lì per lui.
Abbiamo la gioia di avere un figlio che ride e vive felice. Come è giusto che sia.
Abbiamo la fortuna di ritenerci "promossi" e ritrovarci nelle parole di quest'articolo (splendido), scoperto grazie a Raffaella.
Per questo credo che non sia preoccupante la nostra situazione ma sono anche convinta che, come per tutto il resto, non dobbiamo smettere di lavorarci, insieme, come una squadra, cercando di prendere un pò dall'altro, mescolando un pò gli stili e forse ascoltando di più i perchè dell'agire dell'atro.
Lo metto nella lista dei buoni propositi. Mentre cerco di fare il genitore tutti i giorni.

Detto questo, come facciamo a non prendercela tra di noi e a rispettare semplicemente di avere modi diversi di approccio?
Non è importante che siano le cose su cui contiamo e in cui crediamo che siano condivise, poi i modi di trasmetterle possono essere un pochino diversi?
Si può essere coerenti con stili diversi?

E voi? Come avete trovato equilibrio e coerenza?

Questo post si ispira agli appuntamenti settimanali di Simonetta, dedicati all'analisi dei vari punti necessari per essere genitori senza sensi di colpa. Come potrete notare non ho un'idea molto chiara ma molte domande rispetto al tema della coerenza.

30 settembre 2013

Essere felicità

E' stata come un'illuminazione, come quando ti viene in mente, di colpo, quella parola o quel nome a cui pensavi da tutto il giorno.
Perchè è capitato proprio mentre si giocava a ce l'hai. O acchiapparsi. * Chiamiamolo come volete.
Quando ti rincorri, tocchi qualcuno e poi devi scappare perchè adesso ce l'ha lui.
Bene nel nostro salotto, che non assomiglia a una reggia, tra tavolo, sedie, divano, mobile, giochi vari, correre non è proprio quello che riesce meglio. Eppure è un gioco che facciamo da qualche sera finendo sfiniti. Perchè si può fare, anche se pensi che non c'è lo spazio.
E tra pochi mesi lasceremo questa casa che è la nostra casa, che è noi tre.
C'è stata una casa solo mia tanto tempo fa, poi c'è stata una casa solo nostra, mia e sua, e poi c'è stata questa. Ogni casa una vita. Ogni casa ricordi. Ogni casa una fine. Ogni casa un inizio. Ogni casa nuovi noi.
E questo sarà il mio secondo trasloco con la pancia. Non riuscivo più a crederlo possibile. Non avevo mai smesso di crederlo.
E allora ci si schiva, ci si rincorre, ci si nasconde sotto il tavolo ma soprattutto si ride. Si ride davvero.
E sembra sciocco detto così semplicemente ma ho proprio realizzato, di colpo, quanta felicità.
Tutta in una stanza. Tutta nostra.
Tanto mia, così concreta. Così come se non mancasse più nulla.
Non mi manca nulla. E' davvero una strana sensazione. Quella che volevo. Quella che auguro.
E avrei dovuto ridere così di cuore anche prima. Molto più spesso.
Perchè era già tutto in questa stanza.
Me lo devo ricordare per il futuro. Sta tutto a me.
La felicità produce felicità.



*grazie a questo post scopro che esiste una pagina Wikipedia di questo gioco. Io amo il web.

26 settembre 2013

Figlia? Aiuto.

La domanda più frequente di quest'ultimo periodo è: allora sai già cos'è?
E sì, a dieci settimane e una pancetta che sembra più dovuta all'abbuffata della sera precedente che alla presenza di un mininano, certo che lo so. Sono bravissima a prevedere il futuro.
Cosa ti senti? Come se potessi dedurre da quel gusto ferroso in bocca con cui convivo se è maschio o femmina. Non lo so.
Con il secondo figlio sembra che saperne il sesso diventi la cosa più importante. Spesso prima ancora del come stai.
Perchè pare che se fai la coppia bene, se fai doppietta, beh peccato.
Sembra una follia agli occhi degli altri, ma quando passi tanto tempo a cercarlo questo secondo figlio, che sia un altro maschio o una femmina è l'ultimo dei tuoi pensieri.
Tu lo vuoi e basta, che sia quel che sia.

Però adesso che mi ci fanno pensare tutti, credo che se si potesse scegliere forse vorrei un altro bambino.
Perchè?
Perchè una bambina sarebbe una figlia.
Sarebbe un rapporto madre-figlia.
Ed è la relazione che io considero più difficile in assoluto. Per esperienza.
Non che crescere un uomo giusto e rispettoso al giorno d'oggi sia una passeggiata. Ma è sicuramente diverso.
Madre-figlia è un rapporto intenso, intimo, femminile, un rapporto tra donne.
E come tutti i rapporti tra donne, complicato. Con delle potenzialità incredibili, come solo i rapporti tra donne sanno essere, ma complicato.
Non so se sarei pronta.

Da figlia non ho mai vissuto un giorno della mia vita in modalità "una mamma per amica". Per quanto mia madre sia una persona splendida. 
E' una donna in gamba, piena di energia e buon cuore. Molto gentile. Di quelle gentilezze anche un po' esagerate, per non dire fastidiose.
Semplicemente non abbiamo mai connesso.
O meglio, forse lei avrebbe anche voluto ma io ho sempre alzato un muro.
Perchè? Non lo so.
Forse perchè non mi sono mai sentita molto a mio agio con lei. Non sono mai stata davvero me stessa, un pò perchè era più facile, un pò perchè difficilmente lei stava dalla mia parte.
C'è stato il periodo in cui mi adattavo ad essere come voleva lei per non deluderla.
C'è stato il periodo in cui ho cominciato a vederla come una debole. Troppo. E trascinava tutti nella sua debolezza.
C'è stato il periodo in cui non ne sentivo per niente la mancanza.
C'è stato il periodo in cui ci siamo scontrate di brutto. Ancora adesso, che sono qui a sdrammatizzare i miei drammi adolescenziali da sola, le rimprovero dentro me di non esserci stata. Di non aver provato a capire tante cose. Di aver sempre sminuito e ridicolizzato. Di non aver ascoltato senza interrompere in continuazione. 
Lo so, non sono mica l'unica. Alzi la mano chi non si è sentito così a 15 anni.
Sta di fatto che non è mai stata una mia confidente. Non è mai stata il mio punto di riferimento. La spalla dove piangere il primo amore finito. La persona con cui comprare un vestito per sembrare più carina. Con cui condividere un pomeriggio di chiacchiere senza guardare l'orologio. Non sono mai riuscita a spiegarle cosa si prova a cercare un figlio che non si decide ad arrivare, e se ci provavo la sua conclusione era: "devi solo smettere di pensarci". Ecco, ho detto tutto.
Troppo lontane come mondi? Può essere.
Troppo bisognosa di indipendenza io? Può essere.
Sono felice che non sappia di questo mio piccolo spazio di scrittura. Non vorrei che leggesse queste cose. Non voglio incolparla ora, l'ho già fatto abbastanza.
Devo lasciarla andare. Proprio come scriveva la Gamberale nel suo libro.
Probabilmente sono io che non funziono a dovere. Che non so relazionarmi con lei.
Non so accettare che siamo diverse e prendere il bello da questa diversità.
Abbiamo un rapporto civile, ora che siamo donne entrambe, ci vogliamo molto bene, ma siamo anni luce da quello che intendo io per un riuscito rapporto madre-figlia.
Forse semplicemente sono io che ho un'idea sbagliata. Aspettative troppo elevate. Illusioni.
Forse è davvero troppo essere madri, figlie e amiche allo stesso tempo.

Sta di fatto che sotto sotto vorrei anche provare ad essere io la madre di una figlia.
Ma se non dovesse succedere credo che tirerò un sospiro di sollievo.

19 settembre 2013

no, io non vado alla #mfw

C'è un momento ogni anno, anzi per la precisione due, in cui non so cosa darei per lavorare nella moda.
La Milano Fashion Week.
La parte più superficiale e materialista di me prende terribilmente il sopravvento.
Vorrei essere lì, dalla mattina presto a notte inoltrata, tra una sfilata e l'altra, tra colori, musica altissima e luci abbaglianti. Vorrei vedere da vicino quei vestiti che visti lì in quel momento non sembrano nemmeno troppo immettibili. E poi li guarderei dimenticandomi il mio conto economico e il mio principio per cui troppo è un'offesa e immaginerei di comprarmi questo e quello. Vorrei arrivare al terzo cocktail party della giornata con una mise molto azzardata, che non metterei qui nella mia città nemmeno se fossi completamente ubriaca. Tanto ci sarebbe sempre qualcuno più appariscente di me.  E poi mi vedrei a sorseggiare un Martini (che nella realtà mi fa schifo), fare sorrisi, chiacchierare di nulla con gente sconosciuta il tutto indossando con nonchalance un tacco 12, ma che dico, 15...

E invece mi guardo le gallery delle sfilate dal mio divano.
E per la cronaca adesso sono in mutande e calzini. Non bianchi, giuro.

Però una cosa fescion l'ho fatta la scorsa settimana. Sono stata al Vintage Festival di Padova.
Per fortuna che ci pensa la mia città.
Non è male, è mostra mercato, workshop, appuntamenti interessanti.
E' aperitivi musicali.
A cui io ovviamente non ho partecipato.
Diciamo che ultimamente vorrei dormire spesso e sicuramente vado a letto presto.
Diciamolo pure, molto presto.

Se fossi alla settimana della moda probabilmente oggi mi sarei addormentata nel bel mezzo della sfilata di Fendi.











Le foto più belle le avevo pubblicate qui
Era il mio pensiero colorato e spensierato per Lucia. 
E lo dico ancora: grazie per quello che fai, Lucia.

18 settembre 2013

Tanti auguri Lucia. Ti regalo colori e leggerezza.

Mi piacciono le scarpe stringate.
Mi piacciono gli occhiali anni '70. Quelli che coprono qualsiasi occhiaia.
Mi piacciono i bauli. Ne vorrei uno vicino al divano, come tavolino.
Mi piacciono i vestiti colorati. Per questo preferisco l'estate.
Mi piacciono le gonne a ruota.
Mi piacciono i cappelli. Sono la salvezza quando non hai proprio voglia di lavarti i capelli.
Mi piacciono di più le borse che sono vissute. Che sono già servite a qualcun'altro.

E a te, cosa piace?
Gioco sempre con mio figlio a "pensa una cosa".
Facciamolo insieme.
Pensa a una cosa colorata e leggera che ti piace.
E noi proviamo a indovinare.















TANTI AUGURI LUCIA.

Ti immagino con una gonna a ruota molto anni '50 e un paio di occhialoni alla Audrey Hepburn, mentre balli, con un bellissimo sorriso.
Questo ti auguro.
Buon anno zero.





#tiguardonelcuore #augurilucia @zelda 

15 settembre 2013

consigli di lettura 2

Eccomi qui con la seconda parte di consigli di lettura. (parte prima qui)
C'è poco da fare, la fatina il giorno della consegna delle qualità si è un pò distratta e la dote della sintesi non me l'ha data, nemmeno un pò.
L'Oscar per il miglior libro dell'estate non va alla Gamberale ma a una scrittrice che come la protagonista del suo romanzo tiene dentro di sè due mondi, e ne cerca l'equilibrio.
(Ne aveva già parlato Mimma qui e Drusilla qui)
Mi ero persa la recensione di Mimma nei meandri del web, e mia madre mi aveva tenuto nascosto questo capolavoro letterario perchè non voleva che lo leggessi, non voleva che entrassi nel dolore di Quamar, la protagonista, e nella sua esperienza di ricerca della maternità. Capisco il suo bisogno di protezione, ma c'è una cosa importante che manca a mia madre: il piacere della condivisione. Il sapere che non cresce la sofferenza a leggere o ascoltare di un dolore simile al tuo, ma una strana sensazione di sollievo, di fraterna vicinanza, di comprensione. E' bello poter vedere le tue stesse paure attraverso gli occhi di altri, guardarle in un modo nuovo o riconoscersi in pieno.
Rende tutto più reale ma anche più accettabile.
Ma andiamo con ordine:

Widad Tamimi - IL CAFFE' DELLE DONNE
Il romanzo è un'armoniosa alternanza tra l'esistenza milanese di Quamar, ormai donna, di origine Giordana ma cresciuta in Italia, e la stessa, bambina prima e adolescente dopo, durante le sue estati passate alla Grande Casa della nonna ad Amman.
Il mondo arabo mi ha sempre affascinata. Nei pochi viaggi che ho potuto compiere in quelle terre (tra cui questo e il mio cuore continua a piangere perchè tutto peggiora) ho solo in parte potuto accontentare la mia voglia di vedere com'è. Per questo la letteratura è un'ottima alternativa, un viaggio a costo zero e per certi versi anche più immersivo di uno vero. Infatti non avrei mai potuto partecipare ad un caffè delle donne se fossi stata ad Amman. Perchè io non sono araba.
Mi piacciono queste donne, all'apparenza così sottomesse, nascoste da veli e sguardi bassi ma in realtà molto forti, molto coalizzate, molto unite, molto combattive e consapevoli.
Mi ricordo di aver osservato a lungo un gruppo di donne completamente velate fuori da una moschea a Damasco e di aver desiderato tanto di intrufolarmi nella loro mente e spiarne i pensieri, senza scrupoli nè giudizio, solo per curiosità. Perchè per me certe cose non sono accettabili, ma mi piacerebbe capire come fanno ad esserlo per altre. Perchè spesso la condizione femminile nei paesi arabi è una violenza alla libertà, ma mi piace pensare che altre volte ci sia una consapevolezza felice dietro quei veli. Perchè forse non è così importante.
Ma torniamo al romanzo che va bene non avere il dono della sintesi ma c'è un limite.
E così, tra racconti di afosi e colorati pomeriggi, il primo amore e la famiglia in un senso molto allargato, si compie il rito tutto femminile e intimo del caffè. Quando si svela anche a lei, la tredicenne Quamar, ed è il suo turno di premere il pollice sul fondo della tazza di caffè, le vengono lette le linee del suo futuro: "Lo vedi questo cuore? Cade dal tuo ventre, più e più volte. Ma tornerai a essere serena e la vita verrà. Quando avrai imparato a raccogliere i frutti della terra, scoprirai la vita fuori di te. Allora sarai felice, e lo sarai molto, molto a lungo. Allah ti darà molti figli, se troverai la strada per accoglierli."
Perchè lei da adulta, da donna che in Giordania non torna da molto tempo, innamorata del suo uomo, rimane incinta. Subito, al primo tentativo. E perde il bambino. Alla nona settimana.
E mentre leggevo il suo dolore sugli scogli della Croazia, un dolore immaginario come la sua protagonista ma molto reale, il mio non era più vuoto, ma vita, senza che lo sapessi. E adesso sono a otto settimane e mezzo. Quasi nove.
Una malformazione genetica, la sua, che le rende difficile portare a termine una gravidanza. Tutte le gravidanze che lei sognava.
E il suo è un  percorso tortuoso, difficile, che fa riaffiorare molto, il suo rapporto con la madre, le sua doppia appartenenza, quella sensazione con cui è cresciuta, non sentendosi a casa in Italia e non sentendosi a casa in Giordania, lontana dalle sue libertà, così ovvie e scontate.
E in lei mi sono rivista molto. Nel suo bisogno immediato. Nel desiderio di un figlio, nel momento in cui lo cominci ad immaginare.
"Da un attimo all'altro scopro una nuova urgenza e nulla riesce a distogliermi dal pensiero di quel bisogno così fondamentale. [...] A quel punto non ci sono domande, non ci sono dubbi. Inutile cercare di spiegarlo, è così e basta. Anzi trovo snervante la pazienza di chi attende domani per qualcosa che è maturo già oggi. E lo è, maturo. Dentro di me conosco tutti i perchè. Ragioni che hanno senso pieno in me stessa, un loro posto e un loro nome."
E poi il dramma. Che separa e non riesce a tenere insieme i cocci. Perchè il dolore anche se comune è comunque individuale. E non è per niente facile starsi vicini quando arriva.
"Ripenso a Giacomo, al suo sguardo desolato e consapevole di questi giorni. L'amore non basta. Ci sono frangenti in cui si è soli comunque, in cui ci si vorrebbe fare compagnia e consolarsi a vicenda ma non è possibile".
La loro coppia viene distrutta da questo dolore, da una lei che non riesce a risollevarsi, e da un loro che si dimenticano a vicenda. "Mi dispiaccio per lui, perchè sento di averlo portato al confine di sè stesso, in quell'atrio remoto e sconosciuto in cui le reazioni perdono aderenza con la volontà e annebbiano l'autostima".
Ma è il suo ritorno in quella che crede la sua terra, negli anni così cambiata, irrigidita e con i limiti alle libertà femminili che le sembrano ancora più stridenti, che le serve a capire. E sono le donne intorno a lei che la aiutano. "I problemi stanno ovunque. Puoi ricominciare da capo mille volte, forse anche con mille persone diverse, ma se gli ingredienti giusti ci sono fin dall'inizio è inutile pensare che sarebbe meglio in un altro modo, con qualcun altro. Le difficoltà di una coppia arrivano sempre, bisogna lasciar sedimentare, l'amore come il caffè."
E poi arriva un bambino. Un bambino che non è loro ma che con loro passa un pò di tempo. Il tempo che basta per capire.
E poi c'è un'amica che racconta com'è.
"< Sai, ho passato anni a cercare un figlio mio, Quamar. Poi ho semplicemente accettato la solitudine della mia incapacità di generare, e l'ho unita alla solitudine di un figlio senza madre, senza genitori, senza futuro. > mentre lo dice il viso le si distende in un sorriso tenero, materno. < Igor è la mia vita, mio figlio in tutto e per tutto. [...] I figli diventano tuoi piano piano, per le cure e l'amore che ci metti, giorno dopo giorno, notte dopo notte, quando corrono felici e quando stanno male e cercano rifugio tra le tue braccia. >"
E lui un giorno si convince. Si convince che "l'amore va oltre, l'amore non dipende dalle somiglianze. L'amore supera le superfici."
Insomma, è un libro davvero bello. Tanto femminile. Per niente scontato. Pieno di riflessioni interessanti.
E in più c'è anche la ricetta per il vero caffè arabo, al profumo di cardamomo.

"A volte ci smarriamo in un labirinto intricato per il solo gusto di perderci la testa. Abbandoniamo l'ordine mentale e la leggerezza affascinati dall'ignoto. Si tratta di scegliere, tra il desiderio di vivere e quello di scavare. Puntiamo lontano, nella disperata ricerca di una perfezione impossibile e scivoliamo a terra incapaci di accettare la purezza della felicità. Quello che ci è più familiare e vicino appare banale e scontato. Lo ignoriamo disprezzandone la bellezza, lo rendiamo sterile e mediocre, ne sottovalutiamo l'autenticità. Aspettiamo di perderlo per riconoscerne il valore."


Volevo scrivere di altri due libri, ma niente. Non ho proprio il dono della sintesi.
Sorry.



12 settembre 2013

Consigli di lettura

Mi sono riconciliata alla grande con il mio lato divoratore di libri e con il nulla che mi creo intorno ogni volta che prendo parole altrui tra le mie mani. Ovviamente raccolte in un libro che mi piace, che mi ispira e che sa prendermi, un pò per le viscere.
Ho letto sugli scogli in Croazia, ho letto alla luce di una candela in campeggio e ho letto tornata a casa, con la pancia abitata.
E' andata molto meglio che quel week end del Redentore.
Alcuni vale proprio la pena di raccontarli, magari in due puntate, così riesco a pubblicarlo questo post, che altrimenti rimarrà nelle bozze in buona compagnia di tutti gli altri, quelli che sì poi magari pubblicherò, o forse più probabilmente no.

Piccola premessa, ho letto anche quello di Gramellini, Fai bei sogni, tanto osannato, e volevo dire la mia, ma mi spiace, non capisco il perchè di tutto questo successo. Sono l'unica? Per carità bravo, ma io questo buonismo mascherato non riesco ad apprezzarlo. Questa troppa semplicità che lo rende perfetto per un Buongiorno ma non so se per un vero romanzo. L'ultima parte è sicuramente commuovente, ma sono certa che se non fosse per gli ormoni e l'argomento madre non avrei versato nemmeno una lacrimuccia.
Un romanzetto, niente più.

Passiamo a quello che invece mi è piaciuto molto:

1. Chiara Gamberale - LA LUCE NELLE CASE DEGLI ALTRI
Non avevo mai letto nulla della Gamberale. E adesso rimedierò.
Devo dire che sentendola a Radio24 non è che mi ispirasse molto, ma avevo bisogno di un libro da 500 pagine saccheggiato dalla libreria di mia madre per ricredermi.
E' scritto magistralmente. E' quella scrittura che piace a me, concisa e leggera, ma allo stesso tempo essenziale. Ma come si fanno a scrivere così tante pagine e farle sembrare pochissime, una dietro l'altra, senza dare il minimo accenno di noia o ripetizione? Chapeau.
E' un romanzo con molti protagonisti, ognuno descritto bene, il minimo per poterlo conoscere, il giusto per potersi ritrovare in un gesto, rivedersi in un'esperienza, riviversi in una sensazione.
C'è Mandorla, la bambina di tutti, e la leggi crescere. Una vita diversa da qualunque altra bambina, una vita piena di mancanze e all'ombra di un grande segreto, ma allo stesso tempo ricca, come solo quella di chi vede, tocca e raccoglie esperienze.
C'è la vecchia Tina Polidoro, sola e zitella, più di come si possa immaginare.
Ci sono Samuele e Caterina e il piccolo Lars arrivato dopo lunghe ricerche e un amore logorato da questa ricerca. Annullato, messo da parte e dimenticato. Finchè finito.
Poi ci sono Paolo e Michelangelo, un pò troppo da clichè a mio avviso, ma molto divertenti e passionali, per lo meno uno visto che l'altro si addormenta spesso sul divano. E Mandorla cresce con l'idea naturale che non ci sia nulla di innaturale.
Ci sono Lorenzo e Lidia, la coppia sempre in lotta, un amore difficile da vedere. Che si nascondono dietro alla domanda classica e spesso ricorrente, ma c'è ancora quell'amore?
"Quand'è che un amore finisce?
Finisce quando non ce n'è più, quando ce n'è troppo, quando in realtà non c'è mai stato. Un amore finisce perchè qualcosa si consuma: allora non bisogna usarlo, forse, l'amore. Ma finisce pure quando non si consuma niente e, anzi: tutto rimane come il primo giorno. Così perfetto che pare finto. E allora forse almeno un pò bisognerebbe usarlo, l'amore. E se poi finisce perchè mentre lo usi ti cade per terra e si rompe? Anche quello può capitare. Così come che lo lanci per aria, per giocare, e quello però non torna più indietro: può capitare. O magari finisce perchè te lo scordi da qualche parte, perchè lo vuoi tenere sempre chiuso in tasca per non perderlo, ma così marcisce, va a male. Finisce perchè andavi di fretta, finisce perchè rimani indietro, finisce perchè vuole finire, perchè deve finire. Finisce perchè non c'è cosa più impossibile da tenere a mente, quando un amore comincia, che potrebbe finire."
E poi per ultima c'è la famiglia perfetta. Perfetta perchè si è imposta di esserlo e piuttosto di rischiare e di uscire dalla tanto progettata perfezione vive senza voler sapere.
E poi c'è la mamma. Una mamma che in realtà non c'è più. Ma con cui Mandorla parla.
E una verità, che non salta fuori. Perchè "siamo tutti all'oscuro di qualcosa che ci riguarda".

"I genitori fanno quello che possono Mandorla: tutti. Anche quando sembra il contrario. Il problema è che mentre sono madri e sono padri non smettono di essere anche esseri umani. Ecco perchè sbagliano, inevitabilmente. Chi più, chi meno: sbagliano. Ma prima o poi bisogna perdonarli. E lo sai qual'è l'unico perdono possibile?
Qual'è mamma?
L'unico perdono possibile che possiamo concedere alle nostre mamme e ai nostri papà è lasciarli andare, a un certo punto. Continuare a volergli bene, se pensiamo che l'abbiano meritato. Ma smetterla di far dipendere il nostro destino dal loro. Altrimenti avremmo solo una buona scusa per non farci niente, con questo destino. No?"


2.  Maurice Druon - IL BAMBINO DAI POLLICI VERDI
Non è assolutamente una novità, ma è un piccolo capolavoro scritto nel 1967, un Sellerio (e già questa è una garanzia), semplicemente meraviglioso, che non vedo l'ora di leggere con il mio nano. Con i miei nani potrei dire (!!!). Perchè oltre alle parole ci sono disegni, semplici e bellissimi.
Il protagonista è Tistou, un bambino speciale "non come gli altri" come lo definisce la sua maestra, ma in senso negativo, "questo bambino deve essere sorvegliato da vicino, si pone troppe domande" o ancora "un bambino distratto e osservatore. I suoi generosi sentimenti gli tolgono il senso della realtà". 
E' semplicemente un bambino che non ammette che i grandi gli spieghino il mondo con idee precostituite. Lui rivolge uno sguardo nuovo sulle persone e le cose, spesso distrugge i ragionamenti degli adulti che hanno il giudizio falsato dagli occhi dell'abitudine. "Ogni bambino è impaziente d'agire nella direzione d'un bene comune e per questo aspetta il miracolo di diventare grande. Quando poi ci diventa di solito dimentica quello che voleva fare, oppure ci rinuncia. Così non avviene nulla, c'è solo un grande in più, senza miracoli".
Tistou cambia le cose, cerca di migliorarle, di riqualificare il quartiere più povero della città, di rendere più accogliente una prigione e più sorridente chi vi è rinchiuso e lo fa con i fiori.
Lui ha il pollice più verde che si possa immaginare. Lui può far crescere i colori solo dove c'era grigio e lacrime. Lui può rendere le cose inspiegabili.
"I grandi hanno la mania di voler rendere a tutti i costi spiegabile l'inspiegabile. Tutto quello che li sorprende li tormenta, e quando nel mondo succede qualcosa di nuovo, essi si accaniscono a voler dimostrare che quella cosa nuova assomiglia ad un'altra già conosciuta."

Ecco, dopo aver letto questo libro, mi darei al giardinaggio sfrenato. Peccato che non stia cominciando proprio la stagione giusta. E che il mio pollice sia davvero davvero nero.


"I fiori impediscono al male di passare"

9 settembre 2013

è vero stupore.

Sono un pò in un limbo. Sono davvero alle prese con qualcosa di tanto tanto nuovo.
E come la prima volta mi arrabbio perchè non riesco a godermela come volevo.
Fondamentalmente ho un pò paura.
Fondamentalmente, tanto per cambiare.

Da una parte ho quella paura brutta, paragonabile ad un incubo che ti risveglia nel cuore della notte.
Che possa andare storto qualcosa.
Perchè è davvero una cosa pazzesca.
Dall'altra non riesco a crederci, è come se il meccanismo di tanti mesi passati a sperare ma convincendosi a tenere i piedi per terra avessero lasciato un modus operandi.
Un modo di guardare alle cose. A questa cosa.
Perchè quando passi tanto tempo a cercare e ci sbatti il muso più e più volte, continui a sperare perchè deve essere, ma hai un pò paura a sperare troppo.
Perchè la delusione sa essere tanta, e anche un pò meschina.
Come se cercando di non credere troppo nel tuo sogno facesse meno male poi il sogno infranto.
Sono patetica. Lo so.

In realtà gioisco molto (e direi, mi viene da aggiungere) e ho molti piccoli momenti che sono solo miei. In cui ci parlo.
In cui mi guardo.
In cui comincio a progettare.
E la cosa bella che ho realizzato è che è proprio come la prima volta.
Lo stupore è sempre quello.
Io sono profondamente stupita.
E' vero stupore.

E' come se mi innamorassi davvero solo ora di quello che è stato, a ripensarmi con lui, quando eravamo noi i due cuori, ora che lo conosco, che so chi è, che sento come siamo, è tutto più facile.
Sono le paure che sono diverse.

Comunque solo oggi ho disdetto il mio appuntamento in ospedale, clinica ginecologica pma.
Ho raccontato al mondo che sono incinta e non ai dottori che la prossima settimana avrebbero dovuto indurmi alla fivet.
Perchè?
Perchè ho paura. Perchè non si sa mai.
E invece devo crederci e basta.
Andrà tutto bene, ricomincerò a farmi altre paranoie.
L'ho disdetto solo adesso. L' Appuntamento.
Qui da sola sul divano.
Perchè Lui ci crede da sempre e per Lui era disdetto da subito.
Venerdì lo vedo. Il mininano.
E dovevo essere libera da altri "appuntamenti" per dimostrargli che mi fido.

E qual'è stato il primo pensiero dopo aver cliccato su conferma disdetta prenotazione?
Ho pensato a lei.
Domani mattina chiamerà per sapere se si è liberato qualche appuntamento prima del suo (che sarà sicuramente fissato tra mesi e mesi) e lo farà con un pò di disillusione, la solita, come una cosa abituale a cui hanno sempre risposto no, mi spiace.
E invece le diranno: Sì, si è liberato un posto la prossima settimana. Può andare?
Ho immaginato il suo sorriso.
Le auguro di incontrarci l'anno prossimo con le occhiaie da notti insonne entrambe, e nessuna paura.

3 settembre 2013

ultimamente

Mi commuovo quando vedo sullo schermo un cantante, uno di quelli veri, che si emoziona, che canta con tanta energia, esaltato e incredulo, e tutto uno stadio con lui. Perchè la musica da vivo fa molto bene.
Mi commuovo per quella canzone alla radio. E anche per quell'altra.
Mi commuovo quando vedo un atleta vincere. E tra le gocce di sudore intravedo il suo impegno.
Mi commuovo guardando mio figlio che disegna le piramidi e le fa di mille colori.
Mi commuovo quando nel mezzo del mercato, tra carote e pomodori ho un flash: sono incinta. Ma il fruttivendolo mi guarda un pò perplesso. Perchè anche se non lo credevo possibile ci sono momenti in cui non ci penso. E quando mi torna in mente è ancora meglio.
Mi commuovo quando vedo due sconosciuti abbracciarsi. E rimanere abbracciati per un pò.
Mi commuovo quando leggo. Anche se non ci sono motivi oggettivi per farlo. Bastano belle parole usate insieme.
Mi commuovo se ripenso a quando mi sono commossa.
Mi commuovi mio piccolo cuore, mi fido di te.
Mi commuovo quando leggo i vostri commenti al post della gioia. Grazie. Ancora e ancora.
Mi commuovo quando la mia mamma al telefono mi chiede se la mia miglior amica era bella il giorno del suo matrimonio.
Mi commuovo proprio quel giorno, molte volte, ma una in particolare, dove le lacrime arrivano in massa, calde. Proprio quel momento, in cui mi abbraccia, a cose appena fatte.
E poi anche quando la guardo ballare con suo fratello. Vestita così, bellissima e sorridente.
Mi commuovo la mattina dopo, quando insieme a colazione la guardo e realizzo che ha un marito. E ridiamo insieme.
Mi commuovo pensando ai nostri anni insieme. Alle noi di dieci anni fa.
Alla strada fatta.
Mi commuovo di nuovo ora, a ripensarci ancora.

Viva gli ormoni.