29 aprile 2013

alzi la mano chi non l'ha mai pensato

Andarsene. Cambiare completamente vita.
Che sia aprire il famoso baretto sulla spiaggia nella sperduta Thailandia o l'ultimo piano di un grattacielo tutto vetri a Manhattan, giusto per fare due esempi di cambiamento all'ennesima potenza.
Alzi la mano chi non l'ha mai pensato. Credo che sarete pochi, specialmente in questo momento storico.
Andare dove le cose sembrano funzionare oppure dove sembrano più semplici.
Andare dove tutto può avere più senso.
Andare dove la modernità, il talento, le possibilità, il nuovo sono pane quotidiano.
Oppure andare dove la vita acquista un significato diverso. Rallentato. Più umano e terreno.
Andare dove magari si torna un pò indietro, dove la decrescita non è una scelta ma una conseguenza. Dove si ha materialmente meno ma gli occhi si possono riempire di colori, natura e tutto acquista un perchè.
Io se potessi cambiare preferirei rallentare. I tempi di Sex and The City sono passati.
Cambiare stile di vita. Dimenticare le code in macchina, le mezz'ore quotidiane a cercare parcheggio, il rumore, un ufficio più umano che magari non è per niente un ufficio, dove esci e trovi il mare di fronte a te. Dove l'aria è diversa. Lo è davvero. Dove molto deve ancora arrivare, avvenire, e forse, ti auguri per quel luogo succeda il più tardi possibile.

Ho passato giorni di vacanza ad immaginarmi lì. A vivere lì.
Io che vivo in una delle più grandi metropoli del mondo, la Pianura Padana, dove non esiste più di un chilometro disabitato, dove le case, i capannoni, i centri commerciali e le strade non hanno mai fine.
Io, che sono abituata a godere di quel poco verde che mi è concesso, quando mi ritrovo in luoghi quasi disabitati, incontaminati, puri a perdita d'occhio, dove le strade attraversano un nulla fatto di non uomo, dove l'orizzonte è sempre blu, mi ritrovo subito a ripensarmi. A pensare al come.
La tranquillità che lo stare in vacanza concede me ne dà il tempo. Mi dà il tempo di chiedermi se ne sarei capace. Se potrebbe fare per me. E se fino a qualche anno fa, quando era ancora tutto un costruire, avevo un bisogno disperato di vivere nella civiltà più sviluppata, ora da persona forse un pò più matura vorrei davvero un pò di civiltà in meno. Non che sia più facile, in vacanza è ovvio che è così, ma il contorno che accompagna le mie giornate acquisterebbe un'importanza diversa.

Il desiderio di lasciare questo paese, che toglie le speranze, anche se vorresti averne all'infinito (e le vorresti qui, il mare c'entra fino ad un certo punto), la tensione a ripartire da qualche altra parte ora che i tuoi punti fermi ci sono, ora che hai una famiglia solo tua con cui potresti farlo, ora che hai capito che cosa ti piace davvero, cosa saresti disposta a lasciare e cosa invece vorresti trovare, cominci a pensare al come.
A cosa potrei fare.
Per quanto ami la mia città e per quanto sia consapevole che non è che fuori da qui è tutto rose e fiori,  vorrei andarmene. Per quanto sappia sulla mia pelle quanto sia difficile integrarsi nel nuovo specie se molto diverso, quanto sia faticoso non avere la propria famiglia vicina, quanto sia bello avere vita sociale, me ne andrei lontano da tutto ciò.
Lo vorrei davvero. Mi sono così stancata di non vedere la luce fuori dal tunnel, di sentirmi comunque  impotente, di vedere come vanno in pezzi le cose importanti che rendono grande un paese, di avere paura per il futuro di mio figlio.
Qualunquismo? Probabilmente sì. Non importa, chiamatelo come volete. A me sembra solo crudo realismo.

Ricominciare tutto da un'altra parte è un salto nel buio. Ed è proprio l'avere un figlio che frena. Perchè è per lui che costruisci. Cambia la prospettiva. Con un figlio hai una prospettiva molto a lungo termine. E il coraggio per certe cose viene a mancare proprio per questo.
Si sa sempre quello che si lascia ma non quello che si trova.
Poi però realizzi che non è un desiderio fine a se stesso. Non è solo perchè vorresti vedere il mare dalla tua finestra ma perchè vorresti dare un senso diverso anche e soprattutto alle nostre vite. Ed essere più felice. Di sicuro lo sarà di riflesso anche lui.

Ho avuto un'illuminazione. L'abbiamo avuto insieme.
Ed ho così avuto anche la riprova che amo l'uomo giusto per me.
Dobbiamo avere un piano. Trasformare il sogno in un progetto. Incanalare energia e tempo in un'idea, che c'è ma va sviluppata. Darsi qualche anno. Studiare, imparare, capire, conoscere di più, lavorare per.
Provarci. Senza la fretta che è sola del capriccio ma con la consapevolezza di voler davvero fare quel passo verso altro.
Lo dobbiamo fare. Così com'è adesso non è futuro.
Verso un modo diverso di pensarsi. Verso un modo diverso di vivere le nostre vite.
Impegnarsi per riuscirci.
Sarà quel che sarà.
Sognare fa sempre bene. Se poi provi a realizzare un sogno male non fa di sicuro.






































Siamo stati in Istria, per l'esattezza a Rovigno, abbastanza vicina alla mia grande ed estesa metropoli, ma in realtà molto lontana. Il paesino è un piccolo capolavoro dipinto sul mare, curato e pieno di verde, una pineta ben tenuta dove correre in bici e perdersi tra fiori di mille colori. Il porticciolo, le barche e la fortuna di esserci in un periodo lontano dal grande turismo di massa di agosto. Strette strade in salita, ciottoli bianchi e lisci, piccole botteghe di artisti e isolotti incontaminati da visitare con annesso giretto (veloce ed economico) in barca per la gioia del nano. Un mare limpido e dai mille colori diversi a seconda della luce. Con o senza sole (che non è che ne abbiamo trovato tanto). Dove tirare sassi, in continuazione senza fine, alla ricerca dello splash più grande. Una cucina buonissima, perchè basta poco quando il pesce è pescato due ore prima. Belle persone con cui parlare, confrontarsi, consapevoli delle loro bellezze. Un paradiso, davvero.
Il nanetto ha festeggiato i suoi quattro anni sul mare ed era felice. Abbiamo trovato una piccola grotta, l'abbiamo conquistata e una volta nascosti lì dentro: "guarda che bel panorama mamma. Quando piove e saremo a casa ripensiamo a questo, ok?" 
Se vi capita di andarci fermatevi anche a Porec (Parenzo), un'altra chicca. Con la sua basilica del IV secolo, non per niente patrimonio dell'Unesco, il suo lungomare bianco candido e le sue pietre.
Poi attraverserete campi coltivati, colline incolte e tornerete nel Bel Paese.
Che dovrebbe essere il nostro.

26 aprile 2013

compagni di strada

Quattro anni fa oggi tutto ha avuto inizio.
Il mio Big Bang.
Da allora siamo compagni di strada.

Per tutto quello che è stato e per tutto quello che sarà, grazie.
Ama, amore mio.
Te stesso, qualsiasi cosa tu scelga o chiunque.
Non posso insegnarti nessun altra ricetta per la felicità.

Tanti auguri a noi.
Tanti auguri a te.

anno zero - giorno 0




21 aprile 2013

Io sono una di quelle

Mi unisco anch'io alla bella iniziativa di 50 sfumature di mamma che in occasione della festa della mamma ha lanciato il Comitato Liberazione Mamma, per sfatare i miti della maternità, raccontarsi e buttare fuori anche quello che è più difficile.
Perchè la maternità è vero, cambia la vita. E' un'esplosione di emozioni nuove, molto spesso contrastanti e difficili da decifrare. Il nuovo fa questo effetto. E la responsabilità che ci si sente sulle spalle è tanta.
Quindi, care mamme future, diffidate di chi vi dice come sarà. Ascoltate i consigli di chi ci è passato ma sa parlare in prima persona e mai come se possedesse la verità assoluta e sappiate che vostro figlio (per fortuna) sarà unico.
Detto questo io faccio parte di quelle.
Quelle il cui figlio ha sempre dormito.
E non è una balla, come si tende credere, anzi, spesso di fronte a chi, stanca morta per le notti insonni prolungate, mi sono trovata a mentire al contrario, per solidarietà. Dicendo che sì dai, anche lui a volte si sveglia.
Ecco in realtà non è così.
Ovviamente non è che appena nato ha cominciato a dormire tutta la notte. Le prime due settimane si svegliava ogni tre ore per mangiare. Si addormentava attaccato alla tetta e si risvegliava per riattaccarsi. Una vita dura la sua. Dopo due settimane le tre ore sono diventate quattro e proprio la notte del suo primo compimese ha pensato bene di farmi venire un colpo (sono andata a sentire se respirava, un classico) perchè si è svegliato dopo sei ore. Sono poi diventate otto e alla fine dieci, dopo due mesi di vita.
Non credo di avere nessun merito, ha ragione the Sunmother quando dice che è tutta una questione di culo. Noi abbiamo avuto culo.
So che questa cosa la pagherò con l'adolescenza.
Il nano dorme tutta la notte, ha il suo rito, che spesso è durato anche un'ora, per addormentarsi ma poi se non c'è una bronchite di mezzo lo si rivede al mattino. Rarissimamente capita un sogno o chissà che cosa che lo sveglia, ma basta una carezza e si riaddormenta. L'ultima volta mi sono svegliata con un urlo nel pieno della notte "MAMMMMMAAAAAAAA HO SETEEEEE" neanche fosse nel deserto da settimane. Gli ho portato un bicchiere d'acqua, si è bagnato (letteralmente) le labbra e si è rimesso a dormire. Manco grazie. Io la mattina ero uno straccio. Giuro, non so come fate, voi mamme di bambini che non dormono. Siete brave, davvero.



Detto questo non basta che il tuo bambino dorma per sentirsi un fiorellino. Non è così semplice la cosa. Aiuta, non lo posso certo negare, ma non è tutto qui, non è solo il non sonno che scombussola quando si diventa madre.
Io sono diventata mamma all'improvviso. Quando me lo hanno messo tra le braccia, ancora sudata e felice di aver finito con spinte, dolori allucinanti e urla (mie). Io non ho capito nulla per un bel pezzo.
E non perchè ero presa dalla gioia immensa, che era ancora nascosta da qualche parte, ma perchè mi sono ritrovata davvero a dovermi occupare di un coso di 50 centimetri. Tolti i primissimi giorni in cui sei in balia di parenti, amici, gli cambi il body dieci volte al giorno perchè vuoi provarglieli tutti, in cui è tutto nuovissimo e sei carica di energia ma soprattutto hai lui, quello Grande, sempre con te, poi le cose cambiano. Anche se lui dorme e mangia. E viene soprannominato da tutti Pietro Pacifico.
Cambi tu. Pensavi che saresti cambiata in un modo, avevi programmato tutto, ti vedevi nel cambiamento perchè pensavi di poterlo controllare e invece il nuovo ti fa sì sentire diversa, ma non come avevi pianificato.
Io ci ho messo un pò per perdermi negli occhi di mio figlio (e non perchè dormiva sempre!), ci ho messo un pò a sentirmi davvero innamorata di lui, è successo piano piano, è cominciato un pò di più con i primi sorrisi e finalmente con il tempo è esploso, dubito che adesso qualcuno mi possa fermare. Ma mi ci è voluto tempo.
E questa cosa non riuscivo a perdonarmela. Non riuscivo nemmeno a raccontarla.
Perchè era inspiegabile.
Per quella che è la mia storia, per come lui sia arrivato per magia visto che noi non potevamo avere bambini, io mi sentivo sbagliata. Io volevo amarlo alla follia, ma non puoi importi una cosa così. Non avevo messo in conto una cosa del genere. Nonostante abbia vissuto la gravidanza come una cosa distaccata da me, così irreale da non poter essere vera, nonostante io sapessi che ho bisogno di vedere e toccare per credere, non è stato così semplice. Non ero assolutamente preparata.
Non lo era la mia vita, non lo era la mia testa, non lo era il mio essere.
I primi sei mesi ancora ancora me la sono cavata, avevo la tesi da preparare e con un bambino che dorme si può fare. E l'ho fatto. Mi sono laureata con il mio nano che mi guardava le tette perdendo un sacco di bave.
Il difficile è arrivato dopo.
Ero sola a casa con lui tutto il giorno. Era inverno e io odio il freddo. Non riuscivo a fare nulla. Non avevo nulla da fare. Non sapevo cosa fare. Avevo un bambino meraviglioso, buono e sorridente a cui badare. Nient'altro. E la sensazione che avrebbe dovuto essere il mio tutto.
Ero convinta che mi sarebbe bastato. E invece no. E mi sono tenuta molto per me, perchè era la mia colpa. Perchè ero fortunata e avrei dovuto solo ringraziare.
Aspettavo che i giorni passassero. Passavo le mie giornate a giocare con pupazzetti di stoffa, a pulire pannolini, a fare facce buffe, a mangiare piedini cicciotti, a raccontare Pippo il pirata e il tempo sembrava non passare mai.
Non vedevo l'ora che imparasse a stare seduto da solo, poi che gattonasse, poi che camminasse.
E vivevo con un senso di inadeguatezza perenne.
Dentro di me sapevo che non mi stavo godendo quello che avevo davvero. Quello per cui adesso non so cosa darei per rituffarmici.
Il malessere, la famigerata depressione post partum può avere molte facce, la mia era molto blanda, non piangevo mai, ero semplicemente e profondamente piatta. Stanca di una routine sempre uguale. Stanca di sentirmi colpevole di questo. Stanca di cercare di essere sempre allegra, perchè lui lo era e si meritava una mamma che lo fosse per lui.

Poi passa.
Poi ho trovato un lavoro, poi è tornata la primavera, poi ho imparato ad amare.
E lì comincia il bello.


17 aprile 2013

un senso tutto questo non ce l'ha

Ieri ho letto questo post e mi è piaciuto moltissimo.
Mi è piaciuto lo spirito, mi è piaciuta la riflessione finale. Sono felice per lei.
Condivido in pieno. Lo vedo e lo vivo sulla mia pelle.

Quando il posto di lavoro ti sta profondamente stretto e non perchè preferiresti startene in panciolle sul divano ma perchè l'ambiente è logorato, perchè ti sei trasformato in un robot nonostante la tua voglia di imparare, di fare, è dovuto tutto, perchè devi essere, visto quella che è la situazione, semplicemente grato e basta.
Lavoro con persone arrabbiate, preoccupate, negative ma non è sempre stato così.
Quando ho cominciato a lavorare qui tre anni fa il clima era quasi idilliaco, si parlava, c'era uno scambio di idee, si cercavano soluzioni insieme, ci si sentiva partecipi di un tutto che si è sgretolato.
Vuoi perchè la situazione è complicata e ci capiamo poco, vuoi perchè un pò siamo abbandonati, un giorno è cassa integrazione e un giorno lavori fino a tarda sera, vuoi perchè le difficoltà è molto facile che ammazzino l'entusiasmo, vuoi perchè non avere motivazione vuol dire disorganizzazione e disorganizzazione vuoi dire lavoro inutile, vuoi perchè la paura tende a farti aggrappare alla tua sedia, perchè ti serve quella sedia, e preferiresti che fosse tolta all'altro piuttosto che a te.

E allora un pò ti spegni dentro. Molto lentamente, giorno dopo giorno un pò di più.
Cerchi altro ma è più facile mortificarsi che crederci ancora. 
Provo a convincermi che non è il MIO lavoro (proprio come scrive Marzia), ma solo quell'attività che mi permette tutto il resto. Ed è questo l'unico modo per sopravvivere, per non impazzire un pò.
Per alzarsi tutte le mattine e indossare comunque un sorriso. 
La conciliazione è un argomento enorme. E' già stato detto forse tutto, fatto molto poco.
Il tuo posto di lavoro deve essere un dovere oltre che un diritto in primis.
Ma il tuo essere forza lavoro dovrebbe avere un senso.
Il posto di lavoro dovrebbe essere come l'essere madre.
Faticoso, complicato, e una cosa da cui fa sempre bene ogni tanto prendersi una pausa, un fare altro.
Ma soprattutto dovrebbe essere impegno, soddisfazione, crescita e miglioramento, felicità, voglia di fare perchè è una cosa che fa bene, fa bene come singolo, fa bene a ciò che ti circonda, al tuo gruppo, alla tua squadra.
Dovrebbe essere fiducia nelle capacità e riconoscimento.
Dovrebbe essere organizzazione e rispetto.
Dovrebbe essere speranza e spinta al cambiamento.
Dovrebbe essere pianificazione e sogni.
Dovrebbe essere sfida e conquiste. O sconfitte, ma comunque sfide.
Se c'è una cosa che la maternità mi ha insegnato è che si può fallire, si sbaglia spesso, l'importante è mettersi in gioco e continuare, ci si rialza perchè devi ma soprattutto perchè vuoi, per lui, un bene più grande di te.

Tutte belle parole lo so. Anche banali. Banali perchè dette e risapute.
Poco però sembra andare in questa direzione. Molto è ancora sempre e solo parole.
Perchè quello che dice Barbara è la sacrosanta verità. Anch'io sono ricca.
Quello che non è il MIO lavoro mi permette di godere di molte cose. Quando riesco a staccare la spina nel week end, per esempio, ringrazio.
Il succo di tutto dovrebbe essere la qualità del tempo.
Qualità del tempo impiegato a lavorare. E del luogo, dell' ambiente, del clima che in quel tempo si respira.
E se la qualità va a braccetto con il sorriso più qualità vorrebbe dire più produttività. Nel senso più ampio che materiale. O magari la stessa produttività, ma qualitativamente migliore. Verso il futuro. In costruzione.
Sorridendo di più sapremmo dare di più.
Sapremmo fare meglio. Fare meglio sul lavoro fa stare meglio.
Stare meglio fa vivere tutto con un'altra anima.
Per crescere si deve dare la possibilità di lavorare bene, le condizioni (che vanno dai migliori trasporti, anche se forse basterebbero giusti e organizzati, fino ai modi di lavorare, per permettere di avere e dare flessibilità), supportando e migliorando la vita delle persone. In termini pratici, non per forza l'ufficio più bello ma il nido aziendale, solo per fare un esempio. Anche perchè non va mai dimenticato che quelle persone sono i tuoi compagni di strada. Siamo sulla stessa barca.
Il lavoro è un bisogno. Io ho bisogno di misurare e dimostrare di cosa sono capace.
Al lavoro si deve poter dare un senso, che va oltre il mero (ma ovviamente necessario) denaro.

Molte sono le colpe delle aziende, dei capi lontani e poco attenti. Moltissime sono le colpe delle politiche del lavoro degli ultimi anni (o da sempre?), degli errori di una politica ancora meno attenta dei gran capi, lontana e per niente empatica.
Molto posso io, lo so. Tutte le mie belle parole dovrei metterle in atto per prima.
La motivazione possiamo sempre cercarla e il fare meglio dipende principalmente da sè.

La mattina, quando sai che devi andare lì è semplicemente più faticoso del normale, di come dovrebbe essere. Perchè un senso non c'è.

16 aprile 2013

ecco perchè mi piacciono i week end

1. perchè vado in campagna (ma l'avevo già detto)








2. perchè è primavera. Infatti non vado matta per i week end invernali o piovosi. Quelli in cui ti ritrovi con il nano malato e non metti il naso fuori per due giorni ma soprattutto convivi con l'amore della tua vita (quello adulto) 24 ore su 24






3. perché in quei due amati giorni puoi permetterti cose proibite. Cambiare. Rompere le righe.
Come una serata solo io è lui a teatro oppure un giro in vespa nel cortile dei nonni.







4. perchè possiamo andare dove vogliamo, i periodi pappe-nanne-pannolini-routine a tutti i costi sono lontani




5. perché sono delle mini vacanze.
Se te ne infischi di dover pulire casa e rimediare alla torre di vestiti sporchi puoi far finta di partire. Almeno per un giorno.
E anche se in questo mare non passerei mai nemmeno mezza giornata di vacanza vera (siamo nei pressi di Marghera giusto per capirci) quando hai poche ore ti sembra quasi bello, chiudi gli occhi e cerchi di non vedere la zozzeria che il mare giustamente restituisce al suo legittimo proprietario.
Ma questo c'è, quindi e chi si accontenta gode.
Era comunque la prima distesa di azzurri e blu della stagione, nel nostro caso ci si accontentava più facilmente.










Quando il lavoro va stretto, anche se si ringrazia di averlo, i week end sono vissuti ancora meglio.E' spesso così.
Ti godi davvero quello che hai solo quando il resto è più complicato.
Ti accorgi di cosa ti fa stare bene davvero solo quando non puoi farlo sempre.
Solo quando ha un tempo ristretto e limitato. Solo quando vorresti ma non puoi.
È una sensazione vecchia come il mondo. 
Ti godi la quiete solo se c'è stata una tempesta, assapori il sole solo quando per mesi è stato un raro miraggio, respiri a pieni polmoni solo quando l'aria è nuova.
Quante cose che mi sono persa, quante cose mi perderò ancora. Spero un pò meno.