27 giugno 2013

Ci sono cose che si possono comprare

Quest'anno, proprio per la prima, primissima, volta non ho ancora pianificato le vacanze.
E' seriamente cambiato qualcosa.
Perchè non basta più lavorare per poter andare in vacanza, perchè magari lavori a intervalli, magari fai un mare di strordinari ma tanto non sono pagati.
E' quella crisi che ti sfiora. Sei ancora tra i fortunati, tu un lavoro ce l'hai. E' mal pagato ma ce l'hai. Arrivi a malapena a fine mese ma ci arrivi.
Non puoi programmare. Perchè non sai come sarà il mese prossimo.

Comunque.
Le vacanze qui si sono sempre organizzate verso febbraio, ma già a Natale cominci a ragionarci.
Mi guardavo le guide, leggevo blog e tutto ciò che potesse servirmi per immaginarmi già là.
Siamo stati in Thailandia spendendo niente, solo per fare un esempio. Una vacanza stupenda. Zaino in spalla e un oceano d'amore.



Siamo stati a Cuba con ancora meno, in mezzo ai veri cubani e ancora più amore.



Siamo stati negli Stati Uniti molto organizzati. E sono state tre settimane super.
Talmente bello che abbiamo concepito un bambino, senza saperlo, da qualche parte lungo la strada (la mitica Route 101, MERAVIGLIOSA) che da San Diego porta a San Francisco.


Sarà che vedo sempre le vacanze come un momento sacro.
Ho sempre viaggiato tanto anche da bambina. Avevamo un camper detto Il Pippo. Ci portava in posti "assurdi" o almeno era quello che mi sembrava. Perchè ritrovarsi a dieci anni nella sperduta Scozia sotto la pioggia costantemente, sola con i tuoi genitori e quel bambino di tuo fratello, a 10 gradi il 15 di agosto, beh, non era proprio il massimo.
Se mi si chiedeva rispondevo senza esitazione che era mille volte meglio il centro estivo sotto casa. Credo di averglielo detto più volte, anche se non interrogata, ai miei genitori.
Però qualcosa è rimasto. Mi è rimasto dentro un pò di quei prati verdi, di quella nebbia bassa, di quelle spiagge ventose. Mi è rimasta la Bretagna. Mi è rimasta l'Olanda, piatta, girata in bici.
C'è un luogo in particolare dei miei viaggi da bambina che mi ricordo come oggettivamente bellissimo.
Quell'anno mio padre aveva deciso di cambiare le vite di tutti. Aveva scelto di smettere di lavorare troppo, di non essere mai a casa. Ha mollato tutto. Ha ricominciato da un'altra parte, fermo lì con noi. Un esempio di rinuncia e conciliazione che porta felicità.
Per la prima volta non avevamo più i canonici quindici giorni di agosto, ma tutto il tempo che volevamo.
Ci hanno caricati sul camper e per sei settimane abbiamo vagabondato tra Spagna e Portogallo.
E siamo stati su una spiaggia poco lontana da Aveiro.
Un posto incredibile.
Era immensa, si percepiva tutta la forza dell'Oceano. Potente e infinito. Grande.
Ci siamo arrivati camminando nel bosco e ci siamo ritrovati nel nulla, soli con lui, le sue onde possenti e le sue dune.
Mozzafiato.
Anche a 12 anni.
Ecco, in questo momento, 18 anni dopo, vorrei andare lì, vorrei andare di nuovo alla ricerca di quella spiaggia. Con la mia famiglia, solo noi tre e l'Oceano.
Ma un viaggio itinerante per il Portogallo oggi come oggi è una vacanza troppo costosa.
Perchè vuoi non fare un giro anche a Lisbona, Porto e mangiare sardine a Nazarè?
A febbraio, quando avrei dovuto organizzare il tutto per risparmiare un pò c'era lo spettro della cassa integrazione.

E allora mi sarebbe piaciuto andare in Albania. I credits dell'idea sono di Lui, io non ci avevo pensato, ma mi sono letta un pò di cose e mi è venuta una voglia pazzeca. E già mi vedevo in giro per Tirana o su una bella spiaggia.
Perchè abbiamo sempre viaggiato anche figlio muniti (da quando ha due anni), magari senza troppe ore di aereo ma comunque vagabondato.
Perchè le speranze sono sempre che per la prossima estate saremo in quattro o tre più panza, e quindi era un pò come se questa fosse l'ultima vacanza avventurosa prima di un nuovo stop ai viaggi veri perchè nuovamente attenti alle abitudini, alla routine e alla tranquillità.
Perchè io prima o poi avrò di nuovo la pancia. Non è per il matrimonio della mia miglior amica ma sarà.
Io lo so.
Perchè è stato un anno faticosissimo e quindi mi sarei proprio goduta una bella vacanza, come piace a me. Me la meritavo proprio.
E invece no, perchè andare in Albania in tre con l'aereo, affittare una macchina, bed and breakfast e mangiare in giro, costa comunque troppo.  Poco in realtà ma troppo per noi in questo momento.
Perchè, oltre al lavoro mal retribuito, tanto si è speso, e un pò si è ricominciato a spendere, in pma, solo per fare un esempio... Perchè questa ricerca ci costa, economicamente e in termini di rinunce. La speranza è che sia un'altra rinuncia che porta felicità.

Per cui quest'anno non si è organizzato nulla. Io ho già perso parte della vacanza perchè per me mettermi a sfogliare guide e guardare cartine era una parte importante del mio viaggiare. Probabilmente ci spiaggeremo in un posto economico non troppo lontano da casa per una settimana, in tenda. Sarà sicuramente a ferragosto e il mio vicino di asciugamano sarà di quelli molto vicini, e calcolando la mia fortuna, sarà ciccione, peloso e sempre sudato.

Quindi, ci sono cose che si possono comprare. Le vacanze per esempio.
E sì sarà bellissimo ovunque perchè saremo noi tre, posso però dire che ad Aveiro sarebbe ancora più bello?

26 giugno 2013

lei sta aspettando

Lei è seduta lì. Sorride. Ha quel sorriso, un pò vuoto ma contemporaneamente ricco, di chi spera, di chi ci vuole credere, di chi è già caduta. Non è la sua prima volta, si vede.
Lei saluta, come una che conosce, che passa spesso di lì.
Aspetta come altre dieci. Tante così siamo. Tutti i giorni un sacco di donne che aspettano. E aspettano.
Lei dispensa consigli, è preparatissima. Sa tutto. Una mini laurea da autodidatta in infertilità.
Lei non riesce a pensare ad altro. Lei ci prova ma è qualcosa di troppo grande, qualcosa di totalmente irrinunciabile. Lei sta aspettando.
Ha imparato cos'è la pazienza ma non la rassegnazione. Lei lo vedi, nel modo di toccarsi i capelli, nel modo di regalare sorrisi anche se sembrano un pò forzati, nel modo di rigirarsi la fede al dito, che è preoccupata. Lei sta aspettando. E' importante quell'ecografia. Potrebbe cambiare qualcosa. Lei aspetta ancora, un'altra volta, un nuovo verdetto.
E poi c'è lui. E' dietro di lei, in piedi, una mano sulla sua spalla. Lui è il lui della pma. Gli uomini diventano docili. Stanno lì, spesso in imbarazzo, innamorati, sempre in silenzio.
Chi affronta questo percorso e lo attraversa proprio nel mezzo ha basi solide, la pma è solo per chi si ama davvero, profondamente, un amore che rinuncia agli imbarazzi, che richiede una complicità matura e radicata. La pma devasta nel profondo e non si può aver paura di far vedere quello che si prova. Non si può cercare di tutelare l'altro dal dolore. Ci si immerge mano nella mano.
Li guardavo e loro erano così. Si vedeva. Profondamente innamorati, profondamente insieme in questa cosa. Lei più dentro, lei riesce meno a farsene una ragione, lui non può farsene una ragione se lei ne soffre così.
Li guardavo e mi sono venute le lacrime agli occhi.
Saranno dei genitori meravigliosi, avrei voluto dirglielo. Ma ero seduta dall'altra parte della sala d'attesa e probabilmente, essendo la prima volta che li vedevo, mi avrebbero presa per pazza.
O forse no.

E' arrivato il loro turno. Io aspetto ancora.
Entrano.
La sala d'attesa si riempie di silenzio. Prima chiacchierava solo lei.
Passano circa quindici minuti. Come per tutte. Così è l'attimo che fa vedere come stanno le cose. Crudo, senza tanti giri di parole.
Escono.
Mano nella mano.
Lei ha gli occhi lucidi, lo guarda, è bellissima, gli sorride, alza le spalle, come una bambina quando sta per scoppiare a piangere, e gli sussurra: "dai su, andrà meglio la prossima volta".
Un sorriso pieno di dignità. Pieno di amarezza. Il sorriso più triste che abbia mai visto.
Era il primo momento senza medici, solo loro due, anche se con tutte noi in attesa intorno.
Ma era come se fossero soli. Tutto il resto non importa.
Lui la stringe e sempre in silenzio se ne vanno. Abbracciati.
Si sono allontanati, un pò più curvi e un pò più attaccati.
Avrei voluto rincorrerli e dirglielo che saranno genitori fantastici ma non ce l'ho fatta.
Quel sorriso triste mi ha immobilizzata alla sedia.

Sono tornata a casa e ho riempito di baci mio figlio, più del solito.

20 giugno 2013

playground #padova

Ho conosciuto Mary al MammaCheBlog un mese fa e ho avuto modo di scambiare due chiacchiere con questa bellissima mamma.
Il suo blog è un vero e proprio progetto, infatti l' intento è quello di raccogliere informazioni, raccontare e documentare i mitici, amati e odiati parchetti. Quei luoghi dove i pargoli si scatenano e le mamme passano il tempo a classificare le altre nelle varie categorie di mamma da parchetto. A volte chiacchierano, a volte sono in prima linea a giocare, a volte sono l'espressione perfetta del multitasking.
A Mary però interessano i parchi e basta. Li elogia quando lo meritano e ne parla anche male se serve, perchè la speranza è che si possa sempre migliorare. Per chi vive in città infatti sono luoghi necessari, indispensabili e per questo andrebbero sempre ben tenuti. L'obiettivo è quello di creare una vera e propria "mappatura" dei parchi gioco delle nostre città e fornire così informazioni utilissime per chi viaggia pargolo munito.
Qualche tempo fa mi ha chiesto di "documentarle" quello che può offrire la mia città, Padova.
Partendo dal presupposto che è una città molto curata, non potevano non esserlo anche i parchi. Nessuna lamentela da parte mia, davvero. Ce ne sono davvero tanti e nessun quartiere ne è sprovvisto.
Noi ne frequentiamo principalmente due, uno più grande e più "attrezzato" lungo il fiume e circondato dalle mura rinascimentali, il parco giochi Giorgio Perlasca; e uno più giardino, con più prato, proprio dietro la scuola, il Parco degli Ulivi detto anche il parco dei cerchi.
Il primo, si trova appena fuori dal centro quindi assolutamente raggiungibile a piedi o in bici, è sulla riva del fiume Bacchiglione e per questo è verde e molto scenografico. E' a soli cinque minuti dalla bellissima torre della Specola, che tanto ho fotografato ed è tutta pista ciclabile intorno. Infatti non manca mai un giro in bici prima di tornare a casa. Lungo tutta questa bella passeggiata alberata ci sono un sacco di coppiette che si sbaciucchiano sulle panchine, cani, paperelle obese per il troppo pane che i bimbi dispensano loro, gente che corre e ogni volta mi dico che domani ci andrò anch'io, ma questa è un'altra storia.
Queste sono alcune foto che ho scattato un pò velocemente (perchè ho sempre un figlio da rincorrere) e in più il verde al mio obiettivo non piace quindi non sono proprio il massimo, ma rendono l'idea.
Tenete presente che c'erano 35 gradi all'ombra e quindi era quasi deserto (cosa rara), ma quest'anno avevo promesso che dopo la bella primavera passata non mi sarei lamentata del caldo quindi taccio.
Altre foto potete vederle qui, la bici era un pò più piccola, il nano pure ma il parco è sempre lui!












Queste invece sono le foto del parco dietro la scuola, nel quartiere di Sacra Famiglia, il Parco degli Ulivi. Ci si arriva tranquillamente in bici e la pista ciclabile è proprio quella che passa per il parchetto di cui parlavo prima. Qui abbiamo festeggiato il compleanno del nano e qui ci ritroviamo spesso con i suoi amici al pomeriggio.
Il bello è che c'è un grande prato, sempre verde. Ci sono altalene e scivoli ben tenuti e sassolini con cui preparare magiche polpette da mangiare di gusto. E in più c'è la mitica montagnola (sempre fangosa) che è la gioia di ogni essere alto al massimo un metro e venti. Sotto la montagnola si può trovare in abbondanza il tipico esemplare di mamma ansiosa che ripete il suo canto "attento - non correre che sudi - no lì no che ti sporchi - ma mi ascolti?"
Ecco il ma mi ascolti? è spesso usato anche dalla sottoscritta.










Se volete raccontare anche voi i parchetti delle vostre città sono certa che a Mary tornerà molto utile!
twittatele voi che potete (ebbene sì sono ancora senza smartphone per causa loro
e guardate qui

12 giugno 2013

Lei e io.

E' arrivata.
Lei, l'invidia.
Sarà stata la voglia di estate ma ancora il piumone nel letto a convincere tutti a fare tanto all'amore. Perchè di colpo sono tutte incinte.
Tutte quelle che non ci pensavano, che preferivano concentrarsi su altro, hanno deciso che il momento è arrivato.
Forse è semplicemente che il tempo passa per tutti, mica solo per me. C'est la vie.
Forse è semplicemente perchè fare figli è bellissimo. L'ho sempre sostenuto. Lo diventa sempre più. Specie quando si passa dalla tenerezza alla risata, quando ti diverti per davvero per quella piccola cosa inaspettata che tira fuori.
Forse è semplicemente e per fortuna perchè la gente si ama ancora e nonostante le paure per il futuro decide che la vita deve andare avanti. E che non c'è modo migliore di vivere che liberare nuova vita.

Lei è un sentimento strano. Puoi volere bene ma essere contemporaneamente un pò invidiosa? Credo di sì.
Non è colpa di nessuno, semplicemente è la vita.
Sono molto felice per tutte le novità e i futuri uomini e donne che popoleranno questo pianeta, specie se sono di persone a me care (sto incrociando le dita per lei, vai così vai così!).
Però come vorrei essere al posto di una di loro. Anzi con loro. Vorrei che lo fossimo tutte, vorrei poterci essere anch'io.
Qui posso dirlo. Oh, come vorrei.
Come vorrei che fosse. Che il tempo smettesse di passare inesorabile e quel giorno arrivasse. Adesso, ora.
Come vorrei poter essere superiore a tutto ciò.
Un mare di gioie e io che partecipo, con giusto un pò di amarezza. Quella che non puoi far vedere. Quella che non puoi ammettere. Quella che non vorrei, ma è più forte di me.
La pma mi ha distrutto. Non è un segreto.
Ho preso tempo, controvoglia, ma lo dovevo a Lui. A mio figlio. A quello che c'è. Perchè è troppo facile finire in un turbinio faticoso e deprimente e dimenticare tutto il resto. Tutto quello che vale.
Un pò ci sto riuscendo. Sono più presente. Sono più attenta. Sono, forse, un pò meno egoista.
Adesso stiamo aspettando.
Intanto facciamo qualche esame in più, giusto per non farci mancare nulla, nè al portafoglio, nè alla mente. Ma facciamo tutto con l'ospedale pubblico e in confronto una gravidanza di nove mesi è una passeggiata veloce. Abbiamo il prossimo appuntamento fissato per ottobre. Poi, forse, decideranno se farci questa benedetta fivet, ma visti i tempi finiremo sicuramente al 2014.
Da una parte va bene così, perchè il tempo obbligato, dato dal pubblico, permette di fare le cose con calma. E' una calma forzata ma sempre calma è. Sempre tempo per concentrarsi su altro è. Più figlio da godersi, più gattina che dorme accoccolata con il muso nell'incavo del tuo collo, meno assenze dal lavoro con scuse inventate, meno braccia e pance bucate, meno tetris per riuscire a fare tutto.
Lo stesso discorso per l'adozione. Ne abbiamo solo parlato. Un percorso di nuovo molto grande e complicato. E come tutte le cose grandi e complicate meriterebbe un pò di più delle poche forze rimaste dal quotidiano fatto spesso di traffico, bollette, soldi, lavoro, casa, e litigate.
Forse non è il momento.
Forse è tutto un segno, forse semplicemente dobbiamo vivere un pò più noi, ritrovare un pochino di passione nelle cose che facciamo, un lavoro qualificante, gratitudine e impegno. E un pò più spensieratezza.
Quella spensieratezza che tanto manca in questo paese.







Oggi mio figlio mi ha fatto vedere il suo nuovo numero di salto sul divano. E io ho giustificato il mio non riuscire a farlo in alto come lui perchè non ero tanto capace.
"beh, quando tornerai piccola imparerai."

E' sempre tremendamente ineccepibile.

6 giugno 2013

La grande bellezza, Roma e la nuvoletta di Fantozzi

Lo scorso week end siamo stati al cinema. Io adoro il cinema. Adoro andarci, adoro sedermi in quelle poltrone spesso scomode perchè i film migliori passano più facilmente nelle vecchie sale, adoro quando arriva il buio, adoro guardare i trailer e promettermi che andrò a vedere tutto, per poi puntualmente non farlo mai.
Abbiamo visto La Grande Bellezza e mi è piaciuto. Realismo e surrealismo insieme allo stato puro. Volutamente lento e con un Servillo come sempre impeccabile.
C'è tanta Roma e quindi non poteva non piacermi.
Roma è stata la mia città per quasi due anni. In realtà non l'ho mai sentita mia. Ma me la sono goduta. E' stato il periodo più libero della mia vita.
Da Roma ho preso tantissimo e dato forse molto meno. Ho tenuto gli occhi spalancati sempre e ho semplicemente vissuto, alla giornata. Come non ero mai riuscita a fare. Come non sono più riuscita a fare. Non ho instaurato rapporti duraturi, non li ho cercati e non ne sono rimasti.
Ho amato Lei, la mia vita in piena solitudine, senza più case di studenti, ma fatta di mansardina sui tetti, minuscola. Ho amato il divertimento, preso così come veniva, senza pianificazione mai. Ho amato le mie passeggiate infinite, il lungotevere all'alba al ritorno dalle feste, Castel Sant'Angelo in lontananza, le viuzze intorno al Colosseo, le stradine di Trastevere, in assoluto le mie preferite, Testaccio dove avrei voluto vivere, il Pantheon quelle rare volte quando lo trovavi vuoto.
Ho amato i lunghi tragitti quotidiani in autobus per andare in quella casa editrice dove facevo uno stage, io e le mie cuffiette, nessuno smartphone a distrarre e giusto un libro, che però spesso rimaneva chiuso, perchè io guardavo intorno. Ecco, a Roma, non ho mai camminato a testa bassa. Cosa che qui dove tutto è troppo familiare e scontato mi capita molto spesso.
Roma e le sue mostre. Roma e i suoi concerti. Roma e i suoi teatri. Roma e i suoi cinema. Tutte cose che facevo anche da sola. Era Roma e io stavo bene con me stessa. Potevo fare tutto solo io e Lei e non sentivo nessuna mancanza...
Ho anche intravisto la Roma becera di cui La Grande Bellezza racconta. I festini privati e le discoteche piene di gente triste e decadente che cerca di divertirsi. Gente malinconica che dimostra come i soldi non facciano la soddisfazione.
Dopo due anni, come nelle migliori relazioni passionali tra amanti, la cosa si è sgonfiata. Avevo preso tutto il prendibile. Rimaneva il traffico, la confusione, le amicizie non coltivate, e il nuovo amore altrove. E quindi me ne sono andata. Sono tornata.

la differenza sta nell’essersene accorti o meno: …è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Quel posto si chiama vita.
(La Grande Bellezza)

Comunque ho pianto, praticamente per tutto il film.
Non è un film da lacrima facile in teoria. Ma per me lo è stato. Non so perchè.
Sarà stato quel senso di malinconia, di nostalgia, di impotenza di cui si è la causa principale, dato dall'insoddisfazione che piano piano si sedimenta nel dovere di tutti i giorni...
Sarà stato semplicemente l'effetto della grande sala e dei volumi che ti penetrano, così lontani dal "rumore" quotidiano. Perchè io ho sempre ascoltato la musica a tutto volume. Ma è una di quelle cose che puoi fare quando sei sola e che con un figlio abbandoni, dimentichi. Non è più un'abitudine.
Quel volume che trapassa, inonda, assorbe. Quel volume che riesce a dare ritmo all'umore. Quel volume che non puoi disturbare.
Oppure sarà semplicemente perchè questo benedetto duemilacredici fino ad ora è stato una bella fregatura. Perchè io mi impegno per essere sempre felice, per vedere le cose belle ma ho la nuvoletta di Fantozzi che mi insegue e mi cerca, anche se provo a nascondermi.
Perchè tra pma andata male, tra problemi con la casa (a gennaio saremo dei senzatetto), tra il lavoro, ci mancava solo che mi spaccassero il finestrino fuori dalla scuola di mio figlio per portarmi via la mia borsa preferita. Con TUTTO dentro.

Dentro c'era la cosa più mia. Il mio quaderno.
Valeva più dei soldi appena prelevati.
Valeva più della carta d'identità con quella foto dove ero bellissima e molto giovane.
Valeva più del telefono, anche se il non essere più sempre connessa è faticoso (tanto quanto liberatorio).
Valeva più dell'agenda con dentro la mia vita lavorativa.
Valeva più dei miei orecchini preferiti che non so come mai fossero in borsa proprio quel giorno.
Valeva più della macchina foto che per fortuna non era Lei, ma l'altra. Ma era comunque. Aveva immortalato al mattino il nano che non si è mosso di un millimetro alla recita scolastica.
Valeva più del primo documento fatto a mio figlio.
Valeva più del nuovo rossetto mai usato.
Valeva più di quel buono per massaggi non nominale che non vedevo l'ora di fare.

Dopo due giorni di arrabbiatura mi ci voleva una sala buia, un film amaro, il volume e Roma sullo sfondo per piangere lui. Il mio quaderno.
Quello ero io.
Appunti. Confusione. Asterischi. Schemi. Sogni.
Io scrivo ancora sempre a mano. Carta e penna. Mi piace così.
Nessun back up possibile. Nessun salvataggio.
Era tutto lì.
Certe parole sono state, passate, non torneranno più. Rimangono i concetti, ma loro sono come cancellate. Da riscrivere. Da ripensare. Da rivivere.
Da ridare un nome alle cose.
E non tutte potranno essere ancora.
Molte me le hanno semplicemente tolte.