30 ottobre 2013

A quindici anni, ma anche a venti



Sono stata al circo. Uno di quelli belli perchè piccolo e fatto solo di persone.

28 ottobre 2013

La pittura trasforma lo spazio in tempo, la musica il tempo inspazio.(cit.)

Sono una di quelle che ha la canzone del momento
Una che scopre o riscopre una canzone e l'ascolta ancora e ancora e ancora. Sono una che si perde dentro di lei tutte le volte che può, finchè quella canzone non ha fatto il suo tempo. Finchè il momento non è passato.
E' una cosa solo mia, che mi piace fare da sola, cantando in silenzio.
La canzone del momento non si sceglie. 

25 ottobre 2013

tre piccoli capolavori

Parliamo d'altro?
Parliamo d'altro.

Il mondo dell'editoria per l'infanzia è davvero variegato se si lascia da parte tutto ciò che è puramente commerciale (anche l'editoria deve mangiare, basta non fare indigestione) e Peppa Pig (che io comunque ringrazio sempre. Tra l'altro, se ve lo siete persi, fatevi due risate leggendo qui, io me le sono fatte di gusto!).
Dicevo, l'offerta è davvero ampia e ci sono alcune chicche meravigliose.
Quando si legge un buon libro per bambini c'è sempre molto per i genitori. Del resto i libri li scrivono i grandi. Quelli bravi sanno tornare bambini con l'esperienza del grande.
E siccome oggi è venerdì e da troppo tempo non partecipo all'iniziativa di homemademamma, per parlare d'altro che non sia come sto (sto, punto.), vi propongo i migliori libri per piccoli (e quindi per grandi) che amiamo leggere nell'ultimo periodo:

17 ottobre 2013

attraverso - all you need is love

Sono alla terza fase, a modo mio.
C'è stata la fase della negazione. La parte totalmente irrazionale di me ha sperato fino all'ultimo che si fossero sbagliati tutti, compreso il mio corpo.
C'è stata la fase della rabbia. Sono diventata nervosa per tutto, insofferente e sgarbata. E come dimostra la teoria ho passato parecchio tempo a dirmi "perchè proprio a me?". So di non  potermela prendere con nessuno, sarebbe semplicemente più facile.
Adesso sono nel pieno della terza fase. La fase della contrattazione.
Mi sto cercando di concentrare su mille cose, su un progetto nuovo o forse semplicemente su quell'idea vecchia rivisitata. Sto provando a immaginarmi a fare un lavoro che mi piace.
Sto mangiando peperoni rossi. Dicono che aiutino la fertilità. I peperoni non mi piacciono e non li digerisco. Ma sono arrivata al punto che provo tutto. Tutte quelle cose che mi continuano a far sperare.
Detta così sembra la fase migliore, peperoni a parte. E spero duri un pò più delle altre.
Andrò anche da uno psicologo. Comincio lunedì. Per poterne parlare con calma. Per poter buttare un pò fuori. Perchè ho timore e spesso poca voglia di farlo. Ma so che invece mi farebbe bene. Perchè ho paura che quello che mi è successo, in associazione al futuro prossimo, possa essere una specie di bomba ad orologeria.
Dovrebbero seguire la fase della depressione, che è quella che mi fa paura e la fase dell'accettazione.
Una cara amica, una di noi, una settimana fa mi ha scritto "so che l'unico modo per guarire da questo dolore, che solo noi donne conosciamo davvero, è che poi arrivi un altro cuore". Mi ha letto nel pensiero.

Non sono più stata sola.
Solo in quella sala operatoria. Al freddo. Con l'anestesista che mi ha chiesto di pensare a qualcosa di bello prima di addormentarmi. E io ho pensato a Pietro.
A volte mi sembra ancora tutto così incredibile. Così assurdo. Così crudele.
Devo passare attraverso tutto questo.
E ci devo passare nel mezzo anche un pò da sola. Nonostante non sia una cosa solo mia. Nonostante intorno a me io sia circondata. Circondata nel senso di abbracciata.
C' è Lui, che quando sbatte contro un muro riesce a rialzarsi a rimettere insieme i cocci, raggirando il muro. Lui sa guardare a domani e punta sempre li. E io vorrei tanto essere come lui. Avere la sua pellaccia che sa tenere protetto il suo cuore buono.
C'è Pietro. E non serve aggiungere altro.
C' è lei, che è stata lì, ha compilato le scartoffie per me, mi ha tenuta per mano, mi ha fatta ridere, mi ha ascoltata piangere senza bisogno di parlare. Lei che sa sempre insegnarmi cosa sia la vera amicizia.
C' è stata mia madre a modo suo, ma era lì.
Ci siete state voi. Questo mondo accogliente di cui mi sono circondata. Le vostre mail, i vostri messaggi, i vostri pensieri, i vostri abbracci.
Grazie.
Ho solo bisogno di essere tanto abbracciata.

8 ottobre 2013

quasi vuota

Avevo sconfitto la paura quasi subito.
Avevo deciso che mi sarei goduta tutto senza timore, a cuore aperto, al massimo e così ho fatto.
Avevo voglia di urlarlo al mondo e l'ho fatto.
Avevo voglia di ridere e ho riso.
E rifarei tutto proprio così. E' stato un mese e mezzo bellissimo.
Poi è arrivato il sangue.
Il pronto soccorso.
L'ecografia.
Il responso: non vitale.
Si è fermato lì, a quell' attimo prima di diventare bambino. Quel bambino per cui io mi sentivo già mamma. Quel bambino che tanto volevo e tanto ho aspettato.
Ha voluto lasciarmi ancora tre settimane di meraviglia. Facendomi sentire che c'era, quando in realtà non era così. Ha aspettato a farmi sapere come stavano le cose.
La chiamano selezione naturale.
Il raschiamento è programmato per giovedì.
Il vuoto vero sarà dopo domani.
E quando mi verrà in mente nei momenti più impensabili.
Quest'avventura farà parte di me per sempre. Di noi per sempre.

Va bene così.
Al senso di impotenza di fronte alla natura ci avevo fatto l'abitudine.
Me lo ero dimenticata per un mese e mezzo. E non c'era sensazione migliore.
#ceciliaduecuori non c'è più. Ne è rimasto uno. E anche parecchio acciaccato.


4 ottobre 2013

mamma mia dammi 100 lire

Quando ho iniziato l'università ero molto convinta di quello che avrei voluto fare da grande.
Poi ho cambiato idea. Ma questa è un'altra storia.
Mi ero iscritta a Psicologia, per la precisione Psicologia dello sviluppo. La mia tesi triennale è arrivata dopo un percorso intenso e molto interessante legato al mondo dell'immigrazione, intrapreso con il mio professore di antropologia culturale, e l'ho amata moltissimo.
Riguardava l'etnopsichiatria infantile, in particolare l'approccio di George Devereux e della sua allieva Marie Rose Moro.
Vorrei riuscire a farla breve: l'etnopischiatria da un punto di vista metodologico si fonda sul complementarismo, ovvero i fenomeni umani vengono considerati secondo una prospettiva sia psicoanalitica che secondo una prospettiva antropologica. Tra le due discipline solo la psicoanalisi è chiamata ad indurre i cambiamenti mentre l'antropologia permette la comprensione dei fattori collettivi, delle rappresentazioni sociali e culturali che strutturano l'identità umana e la sua organizzazione.
L'importanza di questo approccio, specie se rivolto a chi arriva da una cultura differente, a chi vive e ha vissuto il trauma della migrazione permette di cogliere aspetti diversi del medesimo oggetto. Per questo il gruppo di terapia comprende varie figure, antropologi, linguisti, psicologi così da permettere la comprensione dell'altro "situato".

Si intuiva già allora la mia diffidenza per il modo di guardare alle cose della psicologia pura. Diffidenza che mi ha portato a scegliere percorsi molto diversi e più concreti per proseguire i miei studi. Percorsi devo dire anche meno intensi e coinvolgenti da un punto di vista emotivo e personale. Più semplici. A fronte dell'ammissione che non tutti possono essere psicologi. Perchè è un lavoro importantissimo e da non sottovalutare. Va fatto bene. E si deve lavorare tanto su di sé per poter accogliere senza giudizio o preconcetti il dolore e le difficoltà dell'altro.
Ma questa come dicevo è un'altra storia.

L'immigrazione ed i suoi protagonisti sono sempre stati un argomento che ha catturato la mia attenzione, la mia curiosità e la mia solidarietà. Ho lavorato al loro fianco per un periodo e ne conservo ricordi bellissimi. La bellezza data dal coraggio di chi ha scelto di cambiare. Perchè non aveva altra scelta.
Credo nel bello del diverso. Vorrei una società il più multietnica possibile.
Ammiro la ricchezza e la complessità delle esperienze e dei vissuti che un emigrante porta con sè.
Ho vissuto un anno negli Stati Uniti e ho adorato avere amici di tutti i colori e di tutte le usanze. Ho imparato tanto. Ho mangiato spaghetti vietnamiti e vero curry indiano, ho ballato danze portoricane e messicane, ho provato varie acconciature afro e ho imparato un pò di dialetto siciliano da una nipote di migranti italiani.
Un pò mi sono sempre sentita migrante anch'io, per quanto molto ma molto fortunata, prima seguendo mio padre e il suo lavoro in giro per l'Italia e poi seguendo l'istinto camuffato sotto il "vado a studiare fuori casa". Non sentendomi mai davvero a casa del tutto, mai in nessun posto, perchè un pò avevo messo radici lì, ma un pò le volevo lasciate anche là.

Credo che il nostro paese abbia sbagliato completamente nelle politiche e nei toni e che dimostri in continuazione di non saper accogliere, perchè chiuso, bigotto, rude e arretrato. E sicuramente molto impreparato. E lasciato solo. Lampedusa è lasciata sola e io, qui dal mio calduccio comodo, posso solo dire grazie ai suoi abitanti.
Si deve fare qualcosa. Di diverso. Non ho la risposta, non so quale sia la strada migliore, non saprei da che parte cominciare. Ma so che prima si aprono le braccia e poi si troverà tutti insieme una soluzione.

Lo diceva Bauman: "Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possono essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l'emigrazione; possono contribuire o occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire."


I morti di oggi a Lampedusa (mentre scriviamo sono cento) vanno ad aggiungersi agli altri 20mila che sono morti nel Mediterraneo negli ultimi vent'anni. Fino a quando considereremo naturale che il mar Mediterraneo sia il più grande cimitero del mondo? Fino a quando accetteremo di tenerci politiche migratorie criminali, che trasformano i disperati in clandestini, e per questo delinquenti? Fino a quando lasceremo che chi scappa dalla guerra e dalla miseria abbia, come unica possibilità, quella di affidarsi a uno scafista che poi li butta in mare a frustate? Fino a quando accetteremo di essere corresponsabili di una strage quotidiana di donne, uomini, bambini la cui unica colpa è inseguire la speranza di una vita migliore? Fino a quando Lampedusa e gli altri porti di sbarco saranno lasciati soli a seppellire i morti, nell'indifferenza dell'Italia e dell'Europa? Non abbiamo più voglia, davanti a cento cadaveri, di ascoltare l'ipocrisia di chi oggi si veste a lutto mentre ieri firmava le leggi sull'immigrazione che riempiono il mare di morte, l'ipocrisia di chi oggi si dispera ma domani non farà niente per cambiarle. Vogliamo risposte. Vogliamo un Paese che, come dice la nostra Costituzione, "riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell'uomo": diritti che invece muoiono ogni giorno davanti ai nostri occhi, insieme a centinaia di persone.
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3 ottobre 2013

"Siate sempre molto gentili con i vostri figli, perché saranno loro che un giorno sceglieranno la vostra casa di riposo." (cit.)

Allora, partiamo dal presupposto che l'obiettivo è comune. Entrambi vorremmo educare nostro figlio lasciandogli la libertà di esprimersi. Ma siamo fortunatamente persone differenti e con questo anche gli stili genitoriali sono abbastanza diversi.
Tutti sappiamo che di fronte al proprio figlio la coerenza di comportamento di padre e madre è d'obbligo. Se il figlio in questione riesce a cogliere le divergenze è finita. Non avrà la sicurezza che una regola condivisa sa offrire, non avrà la giusta comprensione del perchè e il messaggio non arriva.
A fronte di queste considerazioni che, indipendentemente dal fatto che siano presenti in tutti i migliori manuali, io condivido in toto, c'è la vita reale. C'è l'essere genitori ogni giorno.
Nonostante la giornata di cacca in ufficio; la mezz'ora nel traffico e i venti minuti, quando va bene, per trovare un parcheggio nei "paraggi" di casa. Nonostante la cena da preparare presto altrimenti il figlio che non dorme più a scuola sviene nel piatto ma allo stesso tempo la voglia di stare con questo figlio che giustamente vuole giocare a palla asino in salotto. Nonostante i pensieri preoccupati e un pò tendenti all'ansioso per il trasloco che ci aspetta tra pochi mesi. Nonostante gli ormoni che fanno fare al mio umore un giro sulle montagne russe parecchie volte in un solo giorno, la situazione politica che sa sempre più di presa per il culo e il pensiero a tutte quelle cose che rimandi sempre, perchè non trovi il tempo.
Bene, essere genitori sempre non è sempre semplice.
Specie se le tecniche applicate sono un pochino differenti. E soprattutto se ognuno è profondamente convinto che la propria strategia sia quella più giusta.

Io e lui siamo sicuramente in sintonia su tantissime cose. Condividiamo i principi, crediamo negli stessi valori, abbiamo la stessa idea di come vorremmo fare i genitori in poche parole. Ma abbiamo stili diversi.
Io sono quella che lascia sicuramente più correre. Perchè lo faccio? Per il quieto vivere, perchè ritengo che un bambino sia sempre e comunque un bambino e non un soldatino, perchè credo che arrabbiarsi per tutto quello che non va, senza differenziare tra le cose che non vanno davvero e quelle che sono meno importanti non sia la strada giusta per far comprendere cose è grave e cosa invece non lo è.
Preferisco poche regole chiare a troppe su ogni cosa. E quelle sono anche quelle che pretendo vengano rispettate. I denti si devono lavare? Non c'è capriccio che tenga e mamma si arrabbia sul serio se te lo deve dire dieci volte. Anzi alla terza mi sono già arrabbiata. Se invece a tavola non sei sempre composto e la pasta cade sul pavimento, te lo ricordo ma non mi arrabbio sul serio. Risultati? Lavare i denti è quasi sempre una tragedia, stare composti è una di quelle cose che ci si dimentica spesso.
Lui invece è del partito si fa come dico io punto. E si fa al primo colpo, non devo nemmeno chiederlo due volte. Alla seconda già scatta il rimprovero.
E' più rispettato di me? Credo sì.
E' amato? Direi venerato. Da noi il complesso di Edipo è ancora latitante.
Passa più tempo di me ad arrabbiarsi? Credo di sì.
Per cui ci si ritrova nella situazione in cui lui rimprovera, a mio avviso senza un vero motivo e con toni esagerati, e io sto in silenzio. Non rincaro la dose. Ma non do nemmeno contro. Taccio semplicemente.
Faccio una differenza. Tra quelle volte in cui anch'io intervengo nel spiegare perchè no o perchè sì quando si tratta di una cosa importante e quelle volte in cui non credo necessario il rimprovero.
E non intervengo perchè cerco di seguire il principio per cui di fronte al pargolo non devo mai correggere il padre, nè tanto meno riprenderlo.
Ovviamente non ci riesco mica sempre.
E quando succede tutti i sani principi vanno a farsi benedire e si finisce per discutere proprio davanti a colui che dovrebbe vederci sempre coerenti e alleati. Proprio il massimo. Soprattutto per i sensi di colpa postumi di una madre.
E quando ci riesco invece capita spesso che a lui dia fastidio. Perchè il mio stare zitta ai suoi occhi è un lasciarlo solo, senza il mio supporto, senza che io gli dia manforte. Ma vai a spiegargli, come ho già fatto mille volte, che non voglio intervenire, come non voglio che lo faccia lui quando è il mio turno di fare il genitore che rimprovera. Non voglio esserci anche io a rincarare la dose, soprattutto quando ritengo che si stia esagerando dimenticandosi che abbiamo di fronte un nemmeno cinquenne.

Ho la fortuna di avere accanto un uomo con cui riesco a parlare, ad arrabbiarmi, a scontrarmi e fare pace.
Mio figlio ha la fortuna di avere un padre che lo ama con tutto sé stesso e che sarà sempre lì per lui.
Abbiamo la gioia di avere un figlio che ride e vive felice. Come è giusto che sia.
Abbiamo la fortuna di ritenerci "promossi" e ritrovarci nelle parole di quest'articolo (splendido), scoperto grazie a Raffaella.
Per questo credo che non sia preoccupante la nostra situazione ma sono anche convinta che, come per tutto il resto, non dobbiamo smettere di lavorarci, insieme, come una squadra, cercando di prendere un pò dall'altro, mescolando un pò gli stili e forse ascoltando di più i perchè dell'agire dell'atro.
Lo metto nella lista dei buoni propositi. Mentre cerco di fare il genitore tutti i giorni.

Detto questo, come facciamo a non prendercela tra di noi e a rispettare semplicemente di avere modi diversi di approccio?
Non è importante che siano le cose su cui contiamo e in cui crediamo che siano condivise, poi i modi di trasmetterle possono essere un pochino diversi?
Si può essere coerenti con stili diversi?

E voi? Come avete trovato equilibrio e coerenza?

Questo post si ispira agli appuntamenti settimanali di Simonetta, dedicati all'analisi dei vari punti necessari per essere genitori senza sensi di colpa. Come potrete notare non ho un'idea molto chiara ma molte domande rispetto al tema della coerenza.